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 2022  febbraio 21 Lunedì calendario

Biografia di Volodymyr Zelensky

Essere Volodymyr Zelensky non è mai stato facile, ma oggi non esiste un mestiere più complicato al mondo di quello del presidente ucraino. Da un lato, Vladimir Putin gli punta addosso 150 mila fucili russi mentre si rifiuta di incontrarlo per tentare un’intesa. Dall’altro, Joe Biden incalza gli alleati con il pericolo di un’imminente invasione russa, che ancora prima di iniziare ha già provocato una fuga di capitali dall’Ucraina, diventata destinazione sconsigliata da governi di mezzo mondo, con le maggiori compagnie aeree che cancellano i voli verso Kiev e gli investitori che mettono i loro progetti in freezer. In casa ha ad est i separatisti filorussi che fanno piovere colpi di mortaio sulla linea del fronte, sperando che prima o poi ai militari ucraini saltino i nervi, e a ovest gli oligarchi che si imbarcano sui loro jet privati per scappare da un’invasione che appare sempre più probabile. Alla porta del Mariinsky, lo splendido palazzo settecentesco della presidenza, si avvicendano cortei di leader internazionali ansiosi di offrire solidarietà, in una concentrazione mai vista a Kiev. Ma dalla tribuna della conferenza sulla sicurezza di Monaco – dove è andando sfidando apertamente il consiglio di Biden di restare a casa – Zelensky ha dato sfogo a rabbia e amarezza: «Apprezziamo qualunque aiuto, ma non chiediamo beneficenza... I missili stanno piovendo sulle nostre città, non su quelle europee».
La platea di Monaco che applaude in piedi il presidente ucraino segna la consacrazione di un ex attore come un leader di statura internazionale. Perfino molti dei suoi detrattori, gli elettori del suo arcirivale Petro Poroshenko che l’hanno sempre sospettato di una «zrada», un tradimento verso i russi, ora plaudono al coraggio e alla maturità di un politico che bollavano come «pagliaccio». Ma non era il successo al quale il 44enne comico di Kryvyj Rih aspirava quando, tre anni fa, ha vinto le elezioni con uno strabiliante 71%, unendo Est e Ovest dell’Ucraina in un sogno che prometteva di entrare in Europa facendo la lotta agli oligarchi e la pace con la Russia. La sua campagna elettorale è stata un fenomeno senza precedenti dell’era mediatica: già famosissimo con gli spettacoli e i film del suo collettivo Kvartal 95, Zelensky ha girato una serie televisiva, «Servo del popolo», in cui ha interpretato un professore di liceo di Kiev diventato presidente per caso. Le tre stagioni sono state un capolavoro di satira politica, ma anche un programma elettorale in formato sit-com che ha spiazzato la classe dirigente ucraina, catapultando «Ze» (o il suo personaggio) alla presidenza tra l’esultanza degli elettori soprattutto giovani, e lo scandalo dell’intellighenzia che lo vedeva come l’incarnazione del populismo, paragonato a Donald Trump o a Beppe Grillo.
Zelensky però è un riformista e un europeista, e da russofono di origine ebraiche che ha girato la serie che gli è valsa la presidenza interamente in russo, è una smentita vivente del mito di un’Ucraina discriminatoria. Semmai sono i suoi metodi da star dello spettacolo ad aver fatto temere che si sarebbe dedicato più alle apparenze. La sua inesperienza, e l’ingenuità dei debuttanti del suo partito «Servo del popolo» che ha preso la maggioranza alla Rada, hanno fatto sperare sia Putin sia Trump. Ma proprio nella prova dell’Ukrainagate il comico ha mostrato di essere molto più abile del previsto. Stretto tra Trump che gli chiedeva di indagare il figlio di Biden, minacciando di togliere all’Ucraina gli aiuti, e i democratici che pur di incastrare The Donald avrebbero sacrificato un governo a Kiev, era riuscito a evitare una trappola mortale senza dire esplicitamente no al primo, e facendo capire che non avrebbe mai detto sì ai secondi.
Da allora, la posizione tra il martello e l’incudine è diventata il marchio di fabbrica del sesto presidente ucraino. Negli ultimi giorni ha polemizzato apertamente con Biden, facendo videoappelli rassicuranti ai concittadini che smentivano le dichiarazioni allarmanti del presidente americano (anche perché sarebbe toccato poi a Zelensky dominare l’eventuale panico). L’analista di Carnegie Moscow Konstantin Skorkin ritiene che a Washington molti vorrebbero veder tornare il più ligio Poroshenko, che con i venti di guerra è risalito nei sondaggi. Ma a Monaco il presidente ucraino non ha risparmiato critiche anche ai leader europei «che non sanno cosa significa incontrare ogni giorno le famiglie dei caduti», rievocando il celebre «Perché morire per Danzica?» come esempio di un «appeasement» che rischia di ripetersi sulla pelle dell’Ucraina.
Agli alleati occidentali Zelensky rivolge toni ironici ereditati dal suo mestiere precedente: «Se volete aiutarci davvero, non c’è bisogno di annunciare costantemente le date di una probabile invasione. Noi difenderemo la nostra terra, in qualunque giorno. Abbiamo più bisogno di altre date. Sapete perfettamente quali». Quelle per l’adesione alla Ue e alla Nato, che l’Europa non ha mai voluto dare nonostante «gli ucraini siano morti in nome della scelta europea». Gli scandali di corruzione dei «servi del popolo», gli scontri con gli oligarchi e i giornalisti, il disastro della pandemia e la caduta nei sondaggi, tutto passa in secondo piano di fronte a un attacco che appare imminente. E che segnerebbe la fine di Zelensky: un’Ucraina in guerra vorrebbe politici molto più duri. —