Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 20 Domenica calendario

Che cos’è il Donbass

Le forze militari che nelle ultime settimane la Russia ha mobilitato vicino al confine con l’Ucraina si trovano soprattutto in Bielorussia, un paese alleato, ma l’attenzione della comunità internazionale è rivolta anche a un’altra zona di frontiera, quella dove di fatto una guerra c’è già dal 2014: il cosiddetto Donbass, la regione dell’Ucraina orientale in cui si trovano le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, territori formalmente ucraini che sono gestiti da separatisti appoggiati dalla Russia.
“Donbass” significa “bacino del Donec” e il Donec è un fiume affluente del Don che attraversa quella parte di Ucraina. È una regione storica, nel senso che non corrisponde a una divisione amministrativa attuale. È invece formalmente divisa tra tre dei 24 oblast ucraini (l’equivalente delle regioni italiane): quello di Luhansk, più a est, quello di Donetsk e quello di Dnipropetrovsk, più a ovest. L’intero Donbass cominciò a essere chiamato così verso la fine dell’Ottocento, quando la regione assunse una particolare importanza economica grazie ai suoi molti giacimenti di carbone.
Dal 2014, quando la Russia invase la penisola della Crimea, nel sud dell’Ucraina, e finì con l’annetterla, parti dell’oblast di Luhansk e dell’oblast di Donetsk, circa un terzo dell’intero Donbass, sono uscite dal controllo dello stato ucraino: in quel periodo la Russia sobillò, armò, aiutò e finanziò gruppi militari filo-russi anche nell’est dell’Ucraina, permettendo quindi ai ribelli del Donbass di prendere il controllo di parte del territorio.
I secessionisti dichiararono l’indipendenza dall’Ucraina e organizzarono dei referendum per cercare di entrare a far parte della Russia. Volevano far succedere quello che era successo in Crimea (un’annessione comunque non riconosciuta dalla comunità internazionale): secondo i capi ribelli l’89 per cento dei votanti della cosiddetta repubblica di Donetsk era favorevole all’annessione, e nella cosiddetta repubblica di Luhansk la percentuale era, sempre secondo i ribelli, al 96 per cento.
Prima dell’invasione della Crimea, nel Donbass non esisteva un movimento politico che chiedesse l’annessione alla Russia, ma esistevano le premesse perché una richiesta di quel tipo avesse un certo sostegno nella popolazione locale: dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 (per cui votò la maggioranza della popolazione ucraina, anche nell’est del paese) le condizioni economiche per molte persone non sono mai migliorate, specialmente in una regione come il Donbass dove in precedenza si viveva meglio grazie all’industria del carbone.
Per questo, negli anni è diffusa tra molti l’idea che le cose migliorerebbero se le regioni di Donetsk e Luhansk tornassero a far parte della Russia. Anche perché molti degli abitanti del Donbass sono etnicamente e culturalmente russi: molti a scuola hanno studiato la versione sovietica della storia, parlano il russo, e guarda la televisione russa.
All’inizio del 2015 gli accordi di Minsk stabilirono la fine dei combattimenti e il ritorno all’Ucraina delle regioni ribelli, in cambio di più autonomia. Ma benché fossero stati firmati sia dal governo ucraino sia da quello russo, gli accordi non furono mai davvero rispettati. I combattimenti continuarono in maniera piuttosto intensa fino alla fine di quell’anno: da allora la linea del fronte – lunga circa 400 chilometri – è rimasta più o meno invariata, e i combattimenti sono meno frequenti ed estesi, ma il Donbass è ancora una zona di guerra, con tanto di trincee e centri abitati abbandonati perché localizzati lungo la linea del fronte. Negli anni, soprattutto tra il 2014 e il 2015, più di 13mila persone sono morte, sia militari che civili, e moltissime famiglie hanno dovuto abbandonare le proprie case e le proprie città.
Il governo ucraino definisce le due repubbliche autoproclamate «territori temporaneamente occupati» (dalla Russia) e chiama il fronte «linea amministrativa». In Russia invece si parla del conflitto nell’est dell’Ucraina come di una guerra civile. L’attuale divisione degli oblast di Donetsk e Luhansk non riflette comunque divisioni culturali, etniche o storiche pre-esistenti, è solo il risultato degli scontri di sette anni fa.
Anche se ufficialmente le due regioni sono gestite da leader ucraini, la Russia esercita un forte controllo. Chi vive nelle due repubbliche autoproclamate è invitato a richiedere la cittadinanza russa e abbandonare quella ucraina e può votare alle elezioni russe pur non avendo la cittadinanza vera e propria. Come moneta non si usa la grivnia ucraina, ma il rublo, e la lingua ucraina è bandita, così come la celebrazione delle feste ucraine.
Alle organizzazioni internazionali non è generalmente consentito l’accesso alle zone separatiste di Donetsk e Luhansk, quindi la maggior parte delle informazioni sulla vita nelle due regioni proviene dalle testimonianze dei profughi che le abbandonano e dai messaggi sui social network. Si sa che la popolazione soffre di scarsità di beni di consumo e di una mancanza di servizi, e spera in una vera e propria annessione alla Russia per ottenere un miglioramento della qualità della vita. Il governo russo tuttavia non è mai sembrato particolarmente interessato ad arrivare all’annessione: a differenza della Crimea il Donbass non è una regione di importanza strategica e la sua principale risorsa economica, il carbone, non ha molta importanza per la Russia attualmente.