il venerdì, 18 febbraio 2022
Colloquio con Amartya K. Sen - su "La mia casa è il mondo. Un’autobiografia" (Mondadori)
A un giornalista della Bbc che voleva incassare almeno la certezza su quale luogo l’indiano che aveva studiato a Cambridge e insegnato a Harvard considerasse più suo, Amartya Sen rispose che aveva "più di una casa in cui mi sento a casa" e che non condivideva affatto l’idea dell’intervistatore che quel tipo di radicamento dovesse essere esclusivo. Proprio come quando gli chiedevano "Ma qual è veramente il suo cibo preferito?" e lui rispondeva "Li adoro tutti, ma non vorrei vivere mangiando sempre uno solo di essi". C’è, in questa avvertenza apparentemente prosaica, il filo che tiene insieme la vita del grande economista e le pagine della sua ponderosa monografia (La mia casa è il mondo, Mondadori) in cui ripercorre una formidabile avventura intellettuale partita ottantotto anni fa da un villaggio a centocinquanta chilometri da Calcutta. Perché dal momento in cui dici "questa è casa mia" è un attimo che costruisci un muro perché nessuno si avvicini e due prima di imbracciare un fucile e usarlo contro chi prova a entrare in giardino. "Sono largo, contengo moltitudini" scriveva Walt Whitman.
Sono indo-anglo-americano, sembra ripetere Sen in una conversazione via Zoom da Boston facilitata dalla terza moglie Emma Georgina Rothschild, e non faccio classifiche perché la realtà, per sua natura, si consuma sfusa e non in confezioni monoporzione. È una lezione, questa sulla tolleranza, che ha imparato prestissimo. Santiniketan, il villaggio natìo, ha come gloria locale l’ashram Visva-Bharati fondato dal poeta Rabindranath Tagore, di cui il giovane Sen è prima studente poi discepolo (anche il titolo dell’autobiografia è un tributo al suo La casa e il mondo, un potente avvertimento sui rischi dei nazionalismi). "Una scuola che valorizzava la curiosità a scapito della competizione" ricorda Sen, all’epoca uno studente sorprendentemente modesto ("Trentatreesimo su una classe di trentasette". Ragazzi in ascolto: non è mai troppo tardi!). E a tutt’oggi non si capacita di come, in Occidente, quell’intellettuale sia sottovalutato ai limiti dell’incomprensione, a partire proprio dai presunti misticismo e rifiuto del pensiero razionale, oltre al deficit di letterarietà che gli hanno imputato Bertrand Russell, George Bernard Shaw e altri antipatizzanti.
Lezioni di politicaAmartya, al netto di un carcinoma cutaneo spinocellulare che scopre da ragazzo e contro il quale combatterà per decenni, nasce fortunato (il nome significa "immortale"). Il nonno paterno è un’autorità indiscussa nello studio del sanscrito. Il padre, professore di chimica a Dacca, prima che la partizione la trasformi nella capitale del Bangladesh. Lo zio, primo direttore generale della Fao. Gli amici che girano per casa accendono nel giovane interessi precoci e disparati. Il suo talento primario è nella matematica e nella fisica. Che, nell’ateneo di Calcutta, decide di applicare alla vita vera attraverso lo studio dell’economia. È nel 1951 che Kenneth Arrow scrive il testo fondamentale sulla teoria della scelta sociale e la matricola ne rimane folgorata. Gli chiedo di riassumere di che si tratta. Dice: "La politica, che mi interessa da quando ero bambino, è essenzialmente prendere decisioni nonostante i cittadini abbiano idee diverse quasi su tutto. Le fondamenta della teoria vengono poste dal matematico Condorcet durante la Rivoluzione francese. Su scala ristretta si trattava di ottimizzare i meccanismi per eleggere i membri migliori dell’Académie. Su scala più ampia, invece, come far sì che rivoluzionari e nobiltà vivessero gli uni accanto agli altri senza volersi uccidere.
Nel secondo caso, il Terrore lo dimostra, fu un fiasco e io decisi di interrogarmi su cos’era andato storto. Insomma, come conciliare le priorità e le preferenze della società con quelle degli individui che la costituiscono?". Detta così è giusto una suggestione, ma è il campo del sapere che gli varrà (oltre agli studi sul welfare e sulla povertà) il Nobel per l’economia nel ’98. A Cambridge Sen, che girerà con la solita bici scassata anche quando diventerà rettore del Trinity College, arriva sulla fascinazione di Maurice Dobb, il grande studioso di Marx. Dopo aver accettato un incarico di insegnamento dal docente conservatore Dennis Robertson, Dobb gli confessa la sua affiliazione al partito comunista (e lui di rimando: "Caro Dobb, fintanto che ci darà un preavviso di due settimane prima di far saltare in aria la cappella, sarà tutto a posto"). Parla l’ex allievo: "Sia lui che Hobsbawm erano marxisti sui generis. Dobb cita il grande storico Marc Bloch quando, del feudalesimo, dice che era un sistema in cui i signori vivevano del lavoro di altri uomini. Vero, ma senza dimenticare il valore della terra dei signori. È così che perfeziona e arricchisce la teoria del valore del lavoro di Marx". Il cui circolo di cultori italiani è, nell’ateneo inglese, molto nutrito.
Cambridge, Italia
A partire dal pisano Piero Sraffa, l’uomo che pagava libri e blocchi per gli appunti a Gramsci per scrivere dal carcere, poi direttore di studi di Sen che ne celebra l’indipendenza di pensiero ("Quando Gramsci scrisse una critica di Bucharin, Sraffa lo corresse dicendo che quella, in verità, era un’idea di Lenin e che era più facile criticare il primo che il secondo se non si voleva passare per controrivoluzionari"). E poi Luigi Pasinetti e Pierangelo Garegnani. A cui si aggiungeranno, sul fronte liberale, Luigi Spaventa e Beniamino Andreatta. Sen diverrà buon amico di tutti loro. Il rapporto col nostro Paese farà un salto di qualità quando si sposerà in seconde nozze con Eva Colorni, ex moglie di Giorgio La Malfa nonché figliastra di Altiero Spinelli, tra i fondatori dell’idea di Europa unita ("Eva era a Cambridge di passaggio. Ci incontrammo a un paio di feste. Avevamo molte cose in comune, una forte affinità"). È con lei che scoprirà l’hotel Le Dune di Sabaudia dove Giorgio Napolitano mandava un’auto del Quirinale a prenderlo per passare le serate a chiacchierare ("Mi piace il suo modo di pensare e di vedere la storia"). Sempre a Roma, nei quattro mesi di studio che passerà ospite della Banca d’Italia, conoscerà Draghi ("Ricordo ancora con piacere le nostre conversazioni") e Tommaso Padoa-Schioppa.
E oggi, dopo aver visto e capito tanto, cosa lo preoccupa? "Il fatto che il mondo sia ancora un luogo pieno di ostilità. Penso a Russia e Ucraina ma anche alla Brexit, di cui ancora non mi capacito (spira un brutto vento anti Ventotene che avrebbe amareggiato il mio ex suocero). O al Brasile, che dopo tanti progressi su istruzione e sanità è finito alla visione ristretta di Bolsonaro. E, ovviamente, alla mia India e alla violenza settaria di induisti contro musulmani. Ci sono così tante, evidenti ragioni per integrare le culture e vivere in pace, eppure...". Il laicissimo Sen sa che la religione spesso non aiuta e per questo apprezza il razionalismo di Buddha, il suo sapersi concentrare sulle ragioni che portano ad accettare una posizione e rifiutarne un’altra ("È passato dalla domanda "Esiste un Dio?" a quella "In quale modo dobbiamo comportarci?", indipendentemente dal fatto che un Dio esista oppure no").
Colonialismo e sottosviluppoSenza nascondersi che molto spesso la rabbia ha cause materiali, come negli effetti collaterali del colonialismo: "Nel 1600, quando fu fondata la Compagnia delle Indie orientali, la Gran Bretagna produceva l’1,8 per cento del Pil mondiale, mentre l’India il 22,5 per cento. Alla fine della cura queste cifre erano state sostanzialmente capovolte e, da nazione leader della produzione manifatturiera mondiale, il Paese fu ridotto a simbolo di carestia e povertà". Per uscire dalla quale, non solo in India, serve "evitare l’errore più grave del pensiero dello sviluppo. Ovvero: concentrarsi sulla crescita economica nella convinzione che soltanto dopo si potrà pensare a istruzione e sanità mentre il loro bisogno raggiunge l’apice proprio quando una nazione è povera". A dispetto dei vistosi acciacchi dell’età, Sen mantiene una risata da ragazzino, affievolita giusto nel timbro. Nel libro ha tirato a lucido l’argenteria dei ricordi. I pranzi con Satyen Bose, il fisico a cui intitoleranno i bosoni. I tè con Max Frisch, teorico della fissione nucleare. Le cene con Geoffrey Taylor, il pioniere della dinamica dei fluidi. Se la vita è l’arte dell’incontro quest’uomo ne è un maestro indiscusso. "Mi chiede se l’esposizione a tanti talenti diversi mi abbia aiutato nel mio campo? Non lo so. Ho sempre avuto più interessi, ed è bello lasciare scorrazzare la mente, senza confinarla nella propria specialità. Proprio come con i cibi. O le case". Già.