Corriere della Sera, 19 febbraio 2022
I pacifisti armati di Leopoli
Aspettando gli sfollati di guerra, ecco i traslocati della diplomazia. Escono la mattina presto. Felpe, cappucci alzati e discrezione. La polizia ucraina chiede non si facciano vedere troppo in giro, evitare la zona delle fontane e i caffè che servono il liquore di ciliegie, perché è «impossibile garantire a tutti una scorta». L’ambasciatrice inglese, Melinda Simmons, l’han messa al Panska Gora Hotel e twitta sconsolata dalla tovaglia candida d’una hall: «Tornare a Kiev il più presto possibile». I canadesi son chiusi nell’albergo Leopolis. Il Fondo monetario ha affittato una palazzina di Prospect Svobody. La Banca mondiale sta ancora cercando. Gli americani, boh: «Non ci hanno comunicato nulla, anche perché si son portati dietro gli agenti della Cia...».
Stanno sbaraccando tutti. L’ultima arrivata è la Nato col suo ufficio, venerdì scorso, perché l’intelligence ha spifferato che in caso d’attacco russo sarebbe quello il target numero uno. 2022 fuga da Kiev: è l’ordine del segretario generale Jens Stoltenberg, tutti a Bruxelles, e chi proprio è indispensabile si rifugi in qualche cinque stelle di Leopoli. «I diplomatici già in città saranno due o trecento», fa i conti il sindaco, Andriy Sadovyi: «Da quando Biden ha deciso di spostare qui la sua ambasciata, un po’ tutti lo stanno imitando. Gli olandesi, gli israeliani, gli australiani. Senza famiglie, già mandate a casa. Gli italiani? Sì, mi risulta che stiano pensando anche loro di muoversi su Leopoli. Attendo disposizioni: se me lo chiede fra un paio di giorni, so darle la risposta…».
Kiev è il cuore, dicono da questa parte d’Ucraina, ma Leopoli è l‘anima. E per non andare in blocco cardiaco, la si salva dove si può. A L’viv, L’wow, L’vov, Lemberg, chiamatela come volete, nell’antica Città del Leone che somiglia un po’ a Cracovia e un po’ a Vienna, ma oggi è una piccola Onu cuor di leone che di corsa fa le valigie e se ne scappa in quest’ovest, 70 km dal confine polacco, molto meno che da quello russo, impaurita dalle bombe che forse cadranno. Vladimir Putin non poteva chiedere di meglio: lo spettacolo dell’Occidente che arma Kiev per resistere e Kiev, fedele, che si mette l’elmetto, ma di colpo si volta e alle spalle non trova più nessuno.
A Leopoli, a Leopoli. «Siamo sempre stati capitale – dice il sindaco – e per qualche tempo possiamo dare una mano, anche se su queste cose non si scherza: Kiev è Kiev». C’è molta gente spaventata: «Una settimana fa mi ha telefonato un amico lontano – racconta Mihailo Perun, 47 anni, professore d’università – e mi ha detto: senti, se comincia la guerra, io vengo a stare da te coi miei bambini…». «Questo è un posto sicuro», è certo Andrea Khanas, consigliere dell’Ordine di Malta: «Credo che da queste parti non si veda un cittadino russo da anni…». Nella zona storica ci sono ancora case disabitate: «Una era di mio nonno – indica il professor Prun —. Due stanze. I sovietici gliele espropriarono nel 1947 e siccome protestava, come tanti abitanti del vecchio centro, è finito in Siberia. Sa che, dopo 75 anni, non sono ancora riuscito a riaverle? Per noi, i russi sono questo: un ricordo doloroso, che non abbiamo nessuna intenzione di rivivere». Passati in un secolo dagli Asburgo alla Polonia e dai nazisti ai sovietici, ucraini di fede e polacchi di parlata, gran parte dei 700 mila di Leopoli son nati con la Nato alle porte: spesso i contingenti stranieri vengono qui a esercitarsi e le basi in Polonia poco al di là del limes, oggetto del desiderio ucraino e della discordia russa, sono considerate una presenza rassicurante. S’è sviluppato un nazionalismo spesso sconfinante nell’estremismo di destra: «Noi siamo come la Svizzera – esemplifica il sindaco —, pacifici ma armati. O come Israele, circondati da vicini problematici, eppure capaci di sviluppare ricchezza e d’accogliere i nostri connazionali». Il riferimento è ai diecimila sfollati del Donbass che la città, in questi otto anni di guerra, ha sistemato in case private, edifici riadattati, posti di lavoro. Stavolta arriverà un’altra ondata di profughi e Leopoli è pronta a riceverli; la Polonia, oltreconfine, un po’ meno. Ricordate i Paesi del gruppo di Visegrad e quando i polacchi facevano di tutto per respingere i disperati in fuga dalla Siria o dall’Iraq? La Storia si ripropone sempre. Prima come tragedia, poi come vendetta.