la Repubblica, 19 febbraio 2022
I missili di Putin
MOSCA – Interno fregata. Militari studiano i radar, tracciano traiettorie, premono pulsanti. «Parametri inseriti. Possibilità di colpire al massimo. Iniziamo la preparazione al lancio. Manca un minuto. Nave al punto di lancio. Tre, due, uno». E dalla nave si leva il missile ipersonico Tsirkon fino a confondersi tra le nuvole. «Allarme da combattimento. Mettere le armi missilistiche in stato da combattimento. Il personale si metta al riparo». Una sirena suona tre volte. «Quattro, tre, due, uno. Lancio». È la volta del missile da crociera Kalibr: usato in Siria, non erano mai stato lanciato dal mar Nero. Dai monitor di una stanza chiamata situatsionnyj tsentr, centro situazionale, Vladimir Putin osserva le forze armate al suo comando lanciare missili in grado di trasportare cariche nucleari da un’estremità all’altra del Paese più vasto al mondo. La coreografia è curata al dettaglio. Al suo fianco c’è il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, in videocollegamento tutti i vertici militari. Prende la parola il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov: «L’obiettivo principale è addestrare le forze offensive strategiche a infliggere una sconfitta certa del nemico».
Per le esercitazioni nucleari Grom, Tuono, c’è l’intera “triade nucleare” in azione: missili da mare, cielo e terra.
Sono mobilitate le forze del Distretto Militare Meridionale, le Forze Strategiche e Aerospaziali, nonché le Flotte del Mar Nero e del Nord. Una prova muscolare ad altissima tensione sullo sfondo dell’escalation nel Donbass.
Con il capo del Pentagono Lloyd Austin, già convinto che Mosca si stia «preparando a colpire» l’Ucraina, che avverte: c’è il rischio di «un incidente o di un errore». Ma tutto fila liscio, almeno stando ai filmati diffusi dal ministero della Difesa russo. Dal sottomarino Karelia nel mare di Barents, Artico, si leva il missile balistico Sineva. Dal cosmodromo di Plesetsk, 800 km a Nord-Ovest di Mosca, parte lo Jars. Volano entrambi fino al poligono Kura nella lontana Kamchatka, Estremo Oriente Russo. I missili alati aria-terra lanciati dai bombardieri strategici a lungo raggio Tupolev 95MS colpiscono gli obiettivi nei poligoni Pemboj e Kura. Dal campo d’addestramento Kapustin Jar parte un Iskander. Testato anche il Kinzhal (Pugnale), in grado di superare 10 volte la velocità del suono e di colpire bersagli a 2mila km di distanza, uno dei missili ipersonici che nel 2018 Putin aveva illustrato in pompa magna davanti alle Camere riunite e definito «invincibili» perché in grado di eludere lo scudo antimissilistico statunitense. «Gli obiettivi pianificati sono stati pienamente raggiunti. Tutti i missili hanno raggiunto gli obiettivi prefissati», si congratula il comandante- in-capo dopo aver flesso i muscoli e mandato in tv il brivido di una possibile terza guerra mondiale.
Le esercitazioni Grom non sono che il culmine delle manovre nel Sud della Russia, in Bielorussia e in Mar Nero che negli ultimi quattro mesi hanno portato all’ammassamento di centinaia di migliaia di uomini – 150mila o 190mila secondo le intelligence occidentali – ai confini dell’Ucraina. «La più grande concentrazione di truppe dalla Guerra Fredda», secondo il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Operazioni da tempo pianificate e notificate ai Paesi stranieri, ha assicurato a più riprese il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Ma il tempismo è chiaro. E anche il messaggio: un avvertimento a prendere sul serio le richieste moscovite di garanzie di sicurezza finora ignorate da Nato e Stati Unite. Le autorità giocano con la retorica allarmistica dell’Occidente, smorza Aleksandr Ermakov del Consiglio russo per gli Affari Internazionali. È «un segnale all’Occidente», insiste invece Dmitrij Stefanovich, ricercatore del think tank moscovita Imemo Ras. «Il messaggio non è tanto: “Non interferite se attaccheremo l’Ucraina”. Mosca vuol dire: “Il problema non è Kiev, ma è molto più ampio”». C’è da ridisegnare una nuova architettura della sicurezza europea, martella da giorni Putin.
Neppure la presenza di Lukashenko al suo fianco nel centro di comando è lasciata al caso. Il leader bielorusso ha assistito a manovre che un domani potrebbero avere luogo nel suo Paese. Il 24 febbraio ha indetto un referendum sulla riforma costituzionale che non solo rafforzerà i suoi poteri, ma per la prima volta consentirà il dispiegamento di armi nucleari e unità permanenti russe sul territorio bielorusso. Un’opzione sul tavolo, aveva ammesso Peskov lo scorso dicembre. Che potrebbe essere una delle “misure tecnico- militari” minacciate giorni fa da Mosca nelle sue risposte a Washington se i negoziati sulle garanzie di sicurezza dovessero naufragare. Oggi è un altro potenziale D-Day: dovrebbero concludersi le esercitazioni congiunte in Bielorussia “Risolutezza alleata”. Ma a dispetto delle rassicurazioni dei giorni scorsi del ministro degli Esteri Serghej Lavrov sul ritiro delle forze russe entro questa data, il segretario del Consiglio di sicurezza bielorusso Aleksandr Valfovich ieri ha affermato sibillino: «Non abbiamo mai detto che dopo le esercitazioni le truppe russe se ne sarebbero andate».