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 2022  febbraio 19 Sabato calendario

Intervista a Thomas Robsahm, il figlio di Tognazzi


«Le estati a Torvajanica erano indimenticabili. Per me era strano incontrare mio padre solo due volte l’anno, ma quando capitava era il più bello dei premi. Con noi figli era molto dolce, l’unica volta che ci ha sgridato è stato quando ha sentito una bestemmia arrivare dal giardino dove stavo giocando con mio fratello. Così ci siamo persi Lo squalo». Il papà è Ugo Tognazzi, i ragazzini i suoi figli Thomas e Gianmarco. Oggi lavorano entrambi nel cinema: uno produttore e regista, l’altro attore. Stasera a Torino, al Seeyousound International Music Film Festival, ci saranno entrambi: Thomas Robsahm per presentare in anteprima italiana il suo a-ha: The Movie, Gianmarco per abbracciare il fratello. «Abbiamo sempre avuto un rapporto molto stretto, fin da piccoli», dice Robsahm, figlio dell’attrice Margrete. «La prima volta l’ho incontrato nella casa di papà, 8 anni io, 4 lui. Prima di rivelargli chi ero, Ugo e la moglie Franca preferirono che mi ambientassi un po’. Con Gianmarco abbiamo giocato insieme per ore, a un certo punto lui mi abbraccia, si gira dai genitori ed esclama: “Vero che sembriamo fratelli?"».Perché così tanto tempo prima di conoscervi?«Se è per questo ne è passato tanto anche prima di sapere che Ugo era mio padre. Ero convinto di essere figlio del nuovo marito di mamma. Finché un giorno lei mi dice la verità e mi regala un ritratto di Ugo da giovane. Ci ho messo 2 anni a metabolizzare l’informazione, nel frattempo ho tenuto la foto sempre vicino al letto. A 8 anni ho chiesto di conoscerlo».Dove vi siete incontrati per la prima volta?«In Ungheria. Lui stava girando in Romania ma lì non potevamo entrare, quindi ci siamo dati appuntamento a Budapest. Lo ricordo mentre esce dall’hotel insieme al suo assistente. Erano passati 30 anni da quella foto, loro erano distanti da me ma ho capito subito chi dei due era mio padre».Com’era la vita a Villa Tognazzi?«Di lì passava il meglio del cinema di quegli anni. Veniva Marco Ferreri, a Capodanno eravamo sempre con Sergio Leone, Bertolucci chiamava e io credevo che si trattasse di Paolo, il tennista. Poi ogni anno Ugo organizzava un folle torneo di tennis, in palio lo scolapasta d’oro. Partito come uno scherzo, alla fine è diventato importante, con tanto di tribune e sponsor. Ci si iscrivevano un po’ tutti, da Monica Vitti a Michele Placido. Una volta Ugo e Paolo Villaggio giocarono il doppio femminile vestiti da donna, un’altra portammo in campo un elefante. Non mi chieda il perché, devo ancora capirlo oggi».Chi avrebbe mai immaginato che quasi trent’anni dopo lei e Gianmarco sareste stati regista e attore nello stesso film?«Dirigerlo in S.O.S. nel 1999 è stato bellissimo. Come set abbiamo usato la vecchia casa di Velletri comprata dai miei e poi abbandonata per costruirne una più grande. Da tanto io e Gianmarco avevamo in mente di fare qualcosa insieme, quella volta ci siamo riusciti».Com’è passato a dirigere un film sugli a-ha?«Amo molto la musica e ho sempre sognato di girare un documentario sulla nascita di un album, tipo Let It Be per i Beatles. Ma alla fine o non trovavo i soldi, o i gruppi a cui ero interessato non avevano nulla da registrare. Fino a quando nel 2015 gli a-ha sono tornati e ho chiesto se avevano in programma un nuovo disco. Magnus mi ha risposto no, Morten forse, Paul sì. Il film è la storia di una grandissima band e tre artisti che faticano terribilmente a lavorare insieme».Sorpreso che La persona peggiore del mondo di Joachim Trier, da lei prodotto, sia candidato agli Oscar?«Passi per la categoria miglior film internazionale, ma chi si aspettava la nomination per la sceneggiatura? Da quand’è stato selezionato a Cannes e la protagonista Renate Reinsve ha vinto il premio come miglior attrice, il film ci è esploso in mano».Suo padre le ha trasmesso anche la passione per la cucina?«Io sono vegetariano. Lui mi regalò il suo primo libro di ricette, con la dedica “Al mio caro figlio Thomas, con la raccomandazione di copiarmi solo in questo"».E il tifo per il Milan?«Mi ha passato pure quello, e i miei figli sono persino più fanatici di me. Anni fa li portai a San Siro per un derby. Vincemmo 3-0, in tribuna incontrammo Maldini e Inzaghi, chiacchierammo con loro. Non ho mai visto i ragazzi più felici».E che disse di suo padre «capo delle Brigate Rosse»?«Ricordo quella copertina de Il Male. Era il 1978, in Norvegia la trovammo una burla divertentissima di un giornale satirico. In Italia la presero meno sportivamente, Gianmarco e Maria Sole non hanno potuto andare a scuola per settimane».Quand’è stata l’ultima volta in cui ha visto Ugo?«Nel 1990, l’anno in cui morì. Alla fine dell’estate ci lasciammo, salii sull’auto insieme a mia figlia Mia ma lei mi chiese di scendere per un ultimo bacio al nonno. Quando partimmo gettai un’occhiata allo specchietto e lo seguii con lo sguardo mentre rimpiccioliva salutandoci con la mano».Il 23 marzo suo papà compie cent’anni. Che biglietto d’auguri vorrebbe scrivergli?«Ciao, papà. Ci manchi tantissimo e manchi all’Italia. Ancora adesso sogno che sei vivo, che giochiamo tutti insieme a tennis e ci tuffiamo in piscina. Hai visto che non ti ho copiato? Sono diventato un regista, non un attore. Ti voglio bene. Thomas». —