Il Messaggero, 20 febbraio 2022
Intervista a Eros Pagni
Eros Pagni dal 22 febbraio al 6 marzo sarà protagonista di un nuovo Enrico IV al Teatro Manzoni di Milano, con l’adattamento e la regia di Luca De Fusco. Il testo di Luigi Pirandello aveva debuttato proprio al Manzoni, un secolo esatto fa. Da allora, nei panni dell’uomo che, spinto giù da cavallo, perde il senno e si crede Enrico IV, per poi rinsavire ma scegliere infine di vivere da folle, avevano recitato i più grandi: Ruggero Ruggeri, Romolo Valli, Giorgio Albertazzi e anche – diretto al cinema da Marco Bellocchio Marcello Mastroianni. Pagni, prima di iniziare quest’intervista, dice che il Covid ha lasciato postumi addosso a tutti. Anche chi ha avuto la fortuna di non averlo preso, come lui.
Quali sono stati gli effetti indesiderati, su di lei?
«Mi ha reso più silenzioso».
È vero. Eros Pagni si districa nelle risposte con l’antica eleganza dei suoi 82 anni, ma le risposte sono decisamente sintetiche, lasciano poco spazio alle divagazioni. Perché questo personaggio, dice Pagni, «per un attore è un vero e proprio punto di arrivo. E d’altra parte io vorrei essere come lui, che si crea la pazzia e la usa come scudo per affrontare la vita di tutti i giorni».
Anche la recitazione è uno scudo per vivere?
«La recitazione è comunque vita, l’attore ricerca la verità. E questa ricerca aiuta perché ti permette di sognare. La vita senza sogno sarebbe molto arida, squallida».
È per questo che continua ad andare in scena, lei che recita da oltre sessanta? Per un attore di teatro non c’è mai la pensione?
«Io sono in pensione. Ma il buon Dio mi ha dato ancora un po’ di salute e cerco di sfruttarla».
Come va con la memoria?
«È una ginnastica. Certo, se una volta mi bastavano dieci giorni per mettere a memoria un testo, oggi mi serve un mese. I neuroni si stanno spegnendo».
Da quanto tempo mancava dal teatro, prima di Enrico IV?
«I due anni della pandemia. Anche se nel frattempo ho fatto per poche sere La notte dell’Innominato. Abbastanza traumatizzante: abituati a platee piene, vedere solo quattro teste...».
E se portassimo il teatro in tv?
«Un conto è la telecamera, un altro la quarta parete, quella che ci separa dal pubblico. Bisognerebbe adattare il teatro alle esigenze tecniche della tv».
Lei guarda la televisione?
«Mai, solo i telegiornali. Non certo le fiction, che penso siano rivolte a una platea di dementi».
In passato, ha recitato per il cinema, con Dario Argento in Profondo rosso, con Lina Wertmüller...
«Cominciai, con Film d’amore e d’anarchia, un’opportunità notevole. Però ero molto occupato in teatro e non sfruttai il momento favorevole. Meglio così: anche se alla fine ho fatto quasi 80 film, per me era una cosa di secondaria importanza».
Adesso ha altri programmi?
«Così è (se vi pare), sempre con la regia di De Fusco».
Ancora Pirandello.
«È stato riscoperto, ci siamo resi conto che dopo di lui non abbiamo altro ed è sempre attuale».
Anche Enrico IV?
«Sì. Lui quando rinsavisce decide di ritirarsi nella pazzia. Oggi ci si ritira nel Covid, per affrontare il mondo. Ma quando finirà, bisognerà ripensare la nostra vita. Nel frattempo tante cose sono cambiate in ognuno, nel modo di pensare, di agire, di rapportarsi con gli altri».
Oltre a renderla più silenzioso, la pandemia come l’ha cambiata?
«Mi ha reso più pauroso degli altri, più preoccupato nel vedere intorno un’atmosfera cattiva, impaziente, non disposta a sopportare».