Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 20 Domenica calendario

Agnelli & C. in festa per sconti e sussidi

Certo, in un colpo solo l’erario incassa quasi un miliardo indebitamente sottratto alla collettività da Exor e Gianni Agnelli Bv, circa nove volte di più delle truffe sul Superbonus (130 milioni) su cui si è accalorato di recente Mario Draghi. Resta che per le holding della numerosa famiglia Agnelli si tratta, come vedremo, di poca cosa e che l’accordo col Fisco viene formalizzato solo nel giorno in cui il governo ufficializza una nuova iniezione di miliardi a vantaggio del settore auto, che segue le gentili richieste avanzate dall’ad di Stellantis Carlos Tavares per aiutare l’azienda (a non dire dei molti miliardi pubblici già versati alla fu Fiat dalla Repubblica italiana).
Ripartiamo dall’inizio. L’ultimo infortunio fiscale della famiglia Agnelli risale a fine 2016: è il momento in cui si realizza la fusione per incorporazione della vecchia Exor italiana nella sua nuova scatola olandese, ExorHolding NV, che controlla tutto il gruppo ex Fiat; anche la vecchia accomandita di famiglia si fa olandese prendendo il nome di Giovanni Agnelli BV. Nessun motivo fiscale, disse John Elkann, ma “l’85% del valore delle nostre società ha già sede in Olanda, semplicemente il contenitore segue il contenuto”. La fu Fiat, infatti, aveva già spostato la sede legale nei Paesi Bassi (la sede fiscale è a Londra) nel 2014, quando fu realizzata la fusione per incorporazione con Chrysler che creò Fca.
E qui la faccenda si fa bizzarra: entrambe le volte infatti ci si è scordati di pagare la “Exit tax” per chi sposta attività all’estero senza mantenere una stabile organizzazione in Italia. In sostanza, con alcune eccezioni, la ratio è che tutto il “guadagno” della vendita alla nuova società straniera concorra a formare il reddito dell’ultimo periodo d’imposta in Italia. Per la creazione di Fca, ad esempio, il Fisco contestò plusvalenze nascoste per oltre 5 miliardi e un mancato gettito di 1,3 miliardi: all’inizio del 2020 Fca accettò di pagare 730 milioni, con uno sconto di quasi il 50%, per chiudere la vicenda.
Venerdì, dopo “il contenuto”, pure “il contenitore” ha deciso di pagare: 746 milioni (104 di interessi) Exor e 203 milioni (28 di interessi) la Giovanni Agnelli BV, 949 milioni in tutto. Quanto sia stato l’eventuale sconto stavolta non si sa: al Fatto risulta che un preoccupato John Elkann si lamentò dell’accanimento dell’Agenzia delle Entrate anche con Mario Draghi nell’incontro del 20 gennaio scorso. Per dare un’idea delle cifre, basti dire che il bilancio Exor del 2017 (il primo olandese) riporta un aumento del patrimonio netto del 57%, pari a 5,4 miliardi di euro: la stessa società, nel comunicato di venerdì, ha fatto sapere di aver ritenuto – secondo una norma nota come Participation Exemption (PEX) – esenti da tasse al 95% le eventuali plusvalenze relative al valore delle partecipazioni della holding (Exor, pur pagando, “resta convinta di aver operato secondo le regole”). Lo sconto applicato dal Fisco stavolta potrebbe insomma essere superiore al 50%.
Si dirà: 950 milioni restano una bella cifretta. La risposta è: non per tutte le tasche. Per capirci, facciamo proprio il caso di Exor, holding quotata da 120 miliardi di ricavi consolidati: dopo un 2020 pesante, ha registrato 838 milioni di utile netto nel primo semestre 2021 e flirta coi due miliardi sull’intero anno. La multa con sconto (746 milioni) diminuirà del 40% o meno l’utile di un solo anno. Nel 2022, poi, si realizzerà la vendita del colosso assicurativo PartnerRe ai francesi di Covéa per 7,7 miliardi con plusvalenza attesa di circa 2,8 miliardi per Exor.
Ecco, se per andarsene le holding degli Agnelli pagano gli spicci di un valore creato in Italia, non sono spicci quelli che lo Stato ha dato e darà alle imprese di famiglia. È stato calcolato che solo in investimenti e incentivi diretti la fu Fiat è costata al contribuente italiano 6,3 miliardi di euro dal 1990 al 2012, cifra che arriva a 10 miliardi partendo dal Dopoguerra e nella quale non figurano cassa integrazione, mobilità, prepensionamenti e tutte le forme di supporto indiretto in cui l’azienda ha largheggiato e largheggia (e per obiettivi industriali e di occupazione sempre disattesi). E ora che c’è Stellantis arrivano nuovi sussidi: l’Italia non solo aiuterà con 370 milioni la costruzione della gigafactory per le batterie a Termoli, in Molise, ma ha stanziato 1 miliardo l’anno di incentivi all’acquisto di auto elettriche, ibride e pure endotermiche (proprio come chiesto dall’ad di Stellantis Tavares via CorSera il 19 gennaio, il giorno prima della visita di Elkann a Palazzo Chigi). Considerando che un terzo di quegli incentivi finiranno ad auto Stellantis (stima prudente), parliamo di 330 milioni di ogni anno fino al 2030: fanno tre miliardi solo dal governo Draghi.