Corriere della Sera, 19 febbraio 2022
I sondaggi di Pagnoncelli
Per una singolare coincidenza, nei giorni in cui ricorrevano i trent’anni dall’avvio di Mani Pulite, l’inchiesta che sconvolse il sistema partitico italiano, il governo Draghi ha approvato la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’ordinamento giudiziario. Ma le coincidenze non finiscono qui: Piercamillo Davigo, uno dei magistrati di punta dell’inchiesta, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio nel caso dei verbali di Piero Amara, proprio nel giorno del trentennale dell’arresto di Mario Chiesa che diede inizio a Mani Pulite; infine, Giuliano Amato, premier all’epoca di Tangentopoli, a fine gennaio è stato eletto presidente della Corte Costituzionale, che in questa settimana è stata chiamata ad esprimersi sull’ammissibilità di diversi referendum, la maggior parte dei quali riguardanti la giustizia.
In questi trent’anni il rapporto degli italiani con la giustizia è profondamente cambiato, come pure le opinioni sulla magistratura. Infatti, se negli anni 90 i giudici erano considerati eroi popolari e godevano del consenso di oltre nove cittadini su dieci, oggi solo uno su tre (32%) dichiara di avere fiducia nella magistratura. Si tratta del livello più basso di sempre, basti pensare che nel 2010 il 68% si esprimeva positivamente nei confronti dei giudici e da allora in poi abbiamo registrato un calo continuo. Dunque, la maggioranza assoluta (56%) non ha fiducia nei giudici e i più critici risultano gli elettori del centrodestra: FdI 74%, Lega 65% e FI, insieme alle altre forze minori, 64%. La fiducia prevale solo tra gli elettori del Pd (67%), mentre i pentastellati, presumibilmente a seguito delle vicende che hanno riguardato il Movimento (sospensione dell’elezione di Conte a capo e inchieste su alcuni esponenti), si dividono: 50% non ha fiducia, contro il 44% che dichiara di fidarsi. È un dato sorprendente tenuto conto del fatto che il M5S ha sempre fatto della giustizia un cavallo di battaglia.
In realtà, gli atteggiamenti di molti cittadini sono cambiati anche in concomitanza con il tramonto politico di Berlusconi che ha avuto un rapporto conflittuale con i giudici e ciò ha indotto molti elettori a prendere posizione indipendentemente dal merito delle questioni. Oggi il tema non rappresenta più un tabù e la stragrande maggioranza si esprime negativamente nei confronti della giustizia. In particolare, le critiche riguardano i tempi eccessivi dei processi, riconducibili alla farraginosità delle leggi (48%) e alla carenza di organico (40%), alla scarsa professionalità dei giudici alcuni dei quali si sono resi protagonisti di errori giudiziari e sentenze discutibili (27%), nonché ai comportamenti illeciti tra i vertici della magistratura (25%). Non mancano le critiche riguardo al rapporto dei giudici con la politica, in termini di dipendenza (22%) o di protagonismo e rivalsa (19%). Tra i dem le critiche riguardano più i tempi della giustizia, mentre tra gli elettori del centrodestra sono più accentuati le contestazioni del rapporto con la politica.
La riforma Cartabia è stata seguita solo dal 28% dell’opinione pubblica, di cui una quota marginale (7%) ha approfondito con attenzione. Cionondimeno, lo stop alle “porte girevoli” previsto dalla riforma, ossia l’impossibilità per i giudici eventualmente eletti a cariche politiche di tornare ad esercitare l’azione penale al termine del loro mandato, incontra un consenso elevato (57%). Anche i referendum promossi dai Radicali e dalla Lega sono stati oggetto di poca attenzione: poco più di uno su tre ha seguito molto (7%) o abbastanza (28%) le notizie al riguardo. Nel merito dei singoli quesiti referendari e della relativa propensione a recarsi ai seggi, la maggioranza assoluta degli italiani dichiara di non avere un’opinione o non avere intenzione di partecipare al referendum. Tra coloro che si esprimono, prevale la propensione a votare sì per i quesiti riguardanti le candidature al Csm (23% contro 11% a favore del no), l’equa valutazione dei magistrati (28% contro 12%), nonché la separazione delle funzioni dei magistrati giudicanti (36% contro 10%). Anche nel caso del quesito respinto dalla Corte costituzionale sulla responsabilità diretta dei magistrati prevalgono i sì (30% a 17%). Viceversa, prevarrebbero i no per i quesiti relativi alla riduzione dei limiti della custodia cautelare (26% contro 17% a favore del sì) e all’abolizione della legge Severino (26% a 20%). Gli orientamenti sui singoli quesiti da parte dei diversi elettorati sono in larga misura coerenti con le posizioni assunte dai partiti che si sono più esposti sui temi della giustizia.
Nel complesso la scarsa dimestichezza dei cittadini riguardo alle questioni giuridiche e la minore attrattività dello strumento referendario (non a caso dal 1997 in poi non è stato raggiunto il quorum in occasione di 7 degli 8 referendum indetti) ad oggi inducono a ritenere estremamente difficile il raggiungimento del quorum. In ogni caso, qualora venisse raggiunto e si affermassero i sì, il 42% è del parere che l’esito consentirebbe di migliorare il funzionamento della giustizia, mentre il 33% si mostra scettico. Dunque, lo scenario attuale mostra che alla prevalente sfiducia nei confronti dei partiti e della politica si somma la sfiducia per i magistrati e l’insoddisfazione per l’amministrazione della giustizia. La politica, soprattutto quella più critica nei confronti della magistratura, farebbe bene ad evitare di considerarla una sorta di rivincita del potere legislativo su quello giudiziario. Il nostro sistema democratico si basa sull’equilibrio dei poteri, non sul conflitto tra gli stessi. E l’impopolarità di giudici e politici è una sconfitta per tutti.