Robinson, 19 febbraio 2022
Rileggere Cerami
La sua prosa è così: scabra, antiretorica e attraversata da un’ironia trasognata Dal romanzo di esordio “Un borghese piccolo piccolo” alla sceneggiatura de “La vita è bella” ha raccontano l’irraccontabile senza perdere la poesia
Ho incontrato Vincenzo Cerami solo una volta, nel 1995. Volevo chiedergli di quando fece l’aiuto regista sul set di Uccellacci e uccellini, e già solo il preambolo che mi fece per spiegarmi com’era arrivato al cinema è un raccontino vero e proprio, secco e soave come tante altre sue cose.
State a sentire: «Prima avevo fatto l’assistente volontario al Vangelo secondo Matteo, ho cominciato da lì. Pasolini era stato il mio insegnante di lettere alle medie, poi ho continuato a frequentarlo portandogli le mie poesiuole» ( disse proprio così, «poesiuole»). «Ogni quindici giorni, ogni mese, andavo a casa sua, e gliele lasciavo. Sua mamma Susanna ci preparava il tè, io poi andavo via e lui andava dai suoi amici. Un giorno, allora facevo fisica all’università, lo incontrai perché volevo fare del teatro col teatro Ateneo dell’Università di Roma: neanche entrai che subito occupammo, per cui passai una settimana a occupare questo teatro. E durante questa settimana incontrai proprio Pier Paolo, davanti al Quirino. Mi disse che stava lì perché voleva mettere in scena la Santa Giovanna dei Macelli di Brecht facendolo recitare a Laura Betti. Gli dissi che anche a me piaceva il teatro ma che in quel momento stavo soltanto occupandolo. E lui: “Bè, senti, quando cominceremo a farlo, se hai questa passione del teatro, vieni a seguirlo, magari mi fai un po’ da assistente”. Io ero ben contento ma un po’ preoccupato: cominciai a studiare, mi lessi tutto quanto Brecht, poi il Piscator, tutto quello che c’era intorno a quel tipo di teatro... Sennonché un giorno mi dice che non gli davano i diritti d’autore: “Guarda, non mi hanno dato il permesso, non lo faccio più. Allora, siccome ora mi dedico al cinema, seguimi, faccio il Vangelo secondo Matteo”. Così ho seguito questo film. In realtà l’ho seguito da lontano, perché fermavo le macchine, fermavo il traffico. Insomma, ho dato una mano a farlo ma più una mano vera, fisicamente».
La prosa di Cerami è così: scabra, antiretorica, e attraversata da un’impercettibile ironia che la rende appena trasognata, venata da un accenno di grottesco. Se il suo debutto da romanziere, Un borghese piccolo piccolo, sembra andare da un’altra parte è colpa del ( magistrale) film di Monicelli, dove gli aspetti satirici o semplicemente umoristici fanno da contrappunto a una crudeltà disarmante. Sulla pagina, invece, Cerami non è crudele, casomai è crudo. E il suo esordio, quello che gli è rimasto più addosso, ha già lo stile maturo dello scrittore che sa dire cose gravi con passo calvinianamente leggero. Fin dal titolo, un’invettiva di classe che sembra l’incipit di una favola: c’era una volta un borghese piccolo piccolo...
È facile sbagliarsi, d’altra parte il romanzo parla di Giovanni Vivaldi, impiegatuzzo ministeriale che vendica la morte del figlio sequestrando, torturando e uccidendo il suo assassino, a illustrare quale mostruosità si annidasse nel cosiddetto “italiano medio” dei primi anni Settanta, viziato e turlupinato dalle sirene del benessere economico. Se il contenuto è allarmante lo stile è però serafico. Per dire: Vivaldi scopre che la moglie è morta nel sonno perché, baciandola in fronte, la trova «fredda come un tegame», un paragone che, pur nell’orrore della situazione, contiene qualcosa di umoristico. Perfino Pasolini, nel caldeggiare il romanzo a Raboni, che allora lavorava alla Garzanti, avverte che il libro «appartiene all’area di un neo- crepuscolarismo romano sciatto e atroce» ma si sente in dovere di allegare alcune “poesiuole” dello stesso Cerami, «perché, confrontate al testo, ti diano un’idea della sua coscienza linguistica. La sciattezza atroce è linguisticamente fatta di maniera e mimetica, dunque: non è quella di un naïf, come potrebbe parere a un distratto lettore».
Maniera e mimetica: due armi che Cerami avrà modo di utilizzare anche più esplicitamente nel cinema, campo che gli regalò una certa notorietà di massa. Fra i registi per i quali Cerami ha sceneggiato ci sono Bellocchio, Amelio e Scola ma sono soprattutto i comici ad avere fatto la sua fortuna, fino a quel film magnifico e inclassificabile che è
La vita è bella. Anche qui, la notorietà del titolo rischia di mangiarsi tutta la fama di Cerami, di travestire e travisare le sue capacità: se c’è un tratto riconoscibile nei film da lui sceneggiati non sono le giullarate di Benigni ma certi momenti di sospensione, squarci di poesia silenziosa che si aprono anche a rischio di interrompere l’azione: in Tutta colpa del paradiso di Francesco Nuti, I cammelli di Giuseppe Bertolucci, Mortacci di Sergio Citti...
Pasolini non fece in tempo a vedere pubblicato il primo romanzo del suo ex allievo delle medie: fu ucciso all’Idroscalo di Ostia nel 1975, e pure la sua morte può essere definita «sciatta e atroce». Il libro di Cerami uscì l’anno successivo, per Garzanti, che ora lo rimanda in libreria con prefazione di Nicola Lagioia. Dopo Fattacci, L’incontro e Fantasmi è la quarta uscita di una serie di ripubblicazioni dello scrittore romano. Il prossimo sarà Consigli a un giovane scrittore, il fortunato manuale, uscito da Einaudi nel ’ 96, che parla anche di sceneggiatura e drammaturgia, sempre con quello stile apparentemente semplice che è insieme umiltà da grande narratore e consapevolezza profonda degli ingredienti primari. Perché, come scriveva Cerami nella chiusa dei Consigli, «anche il più raffinato dei cuochi, quando fa un soffritto, nella padella mette olio e cipolla».