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 2022  febbraio 19 Sabato calendario

Intervista a Paolo Solier (torna la sua autobiografia)

Dal pugno chiuso al pugno di mosche c’è tutta la vita di Paolo Sollier. Spiegare chi è Sollier ai contemporanei è impresa ardua ma vale la pena provarci. Sollier, che adesso ha settantaquattro anni, è stato calciatore. Dal 1974 al 1976 con la maglia del Perugia (in serie B e poi in A), quando il Perugia, signori, era l’Atalanta di adesso. Per chi sa. E per chi non sa, era un miracolo di provincia, un laboratorio di calcio e anche di idee. Sollier non è mai stato un campione e nemmeno un brocco: scalciava come un puledro imbizzarrito, mordeva le caviglie altrui come un molosso, cacciava pallone e avversari, aveva piedi non particolarmente educati, ma porca miseria, aveva una testa che in pochi quegli anni. Per capirla o anche solo per conoscerla, leggetevi Calci e sputi e colpi di testa (sottotitolo: riflessioni autobiografiche di un calciatore per caso). La casa editrice Mimesis l’ha rimesso in circolazione tale e quale la prima edizione con un’unica novità, la prefazione di Renzo Ulivieri, allenatore, se ce n’è uno, che non ha mai nascosto le proprie idee. Sul calcio e, soprattutto, sulla politica. Sanno di vecchio quelle pagine, ma sanno di qualcosa. Dietro c’è un uomo che ancora adesso non si è arreso, che da Vercelli, dove abita, partirebbe alla conquista del mondo (per ribaltarlo) se solo capisse di non essere solo. Un uomo a sinistra della sinistra, extraparlamentare da sempre la parola giusta. Se ancora avesse un senso.
Paolo, che effetto fa rivedere in circolazione un libro pubblicato per la prima volta nel 1976?
«Mi ha colto quasi di sorpresa la decisione di ripubblicarlo. Per indole sono contrario a ripetere le cose, ma in fondo mi fa piacere. Significa che qualcosa di me viene ricordato: quello è il diario di un anno particolare, sintesi dei diari che tenevo mentre giocavo e che chissà dove sono finiti. Ne vado orgoglioso».
Che cosa resta di quegli anni?
«Rassegnazione. E poco altro. Di quei gruppi che hanno combattuto il sistema è rimasto niente. Una scia che ha lasciato tracce inutili, inservibili. Non abbiamo combinato nulla e oggi non vedo più nulla di simile. Il malcontento c’è eccome, ma non trova sbocchi».
Da chi si sente rappresentato oggi?
«Dal nulla. Sono deluso. A Vercelli qualche anno fa abbiamo dato vita a un movimento chiamato “Società futura”, per un po’ ci siamo trovati poi il tentativo è fallito. Chi come me ha creduto di portare la società in un’altra direzione è stato sconfitto. E gli sconfitti non possono dare esempi».
Voi combattevate il sistema, il capitalismo. Ora una bandiera della contestazione è l’ambiente. Non la convince? Non è abbastanza di sinistra Greta Thunberg?
«Chiunque si impegni per qualcosa che non sia personale mi piace. E quindi, certo, l’ambientalismo. Il problema restano i politici, i potenti del mondo. Fingono di interessarsi e poi si dimenticano di tutto. E noi ci accontentiamo di essere ascoltati».
Dal suo libro e parlando del Pci: “Con questo lenzuolo di dura tela antifascista per quanto crede ancora di coprire le puttanate di oggi?”. L’antifascismo è rimasto, ma, per dirlo come lei, le puttanate che fine hanno fatto?
«Certo che l’antifascismo deve rimanere un valore fondante, ma non basta per combattere il sistema. Se non si è anche anti capitalisti non si riesce a cambiare nulla: più di mezzo mondo muore ancora di fame, quindi questo modello economico ha fallito. E non mi sembra che la sinistra si muova per contrastarlo».
Che cosa le manca di più del suo tempo?
«L’impegno collettivo. Oggi se uno ha un’idea diversa dalla massa, non trova nessuno con cui condividerla. Con cui discuterne. Non ci sono più i movimenti, i volantini. Non c’è più niente».
Ci sono i social, però. Volantini dell’era moderna. Non bastano?
«I social sono utili, ma organizzare un partito o un movimento è una cosa ben diversa. Ecco sento la mancanza di un partito che prenda una chiara posizione sull’ambiente, sulla giustizia sociale. Non esiste».
Chi è di sinistra oggi?
«Non saprei. Io l’ultima volta ho votato “Potere al popolo”, capisce? Un tempo almeno eravamo extraparlamentari, ma esistevamo. Fuori dal Parlamento, ma c’eravamo. Oggi siamo in una nicchia e io mi sento abbandonato. Fare politica significa confrontarsi e io invece sto per conto mio. Proprio il contrario».
Guarda ancora il calcio?
«Qualche cosa, ma allo stadio non ci sono più andato. Sa, ho provato a fare l’allenatore ma con scarsi risultati, sono rimasto deluso dalla mia carriera e questo mi ha allontanato psicologicamente dal pallone. Il calcio continua a piacermi, apprezzo i gesti tecnici. L’ultimo è stato un gol di Sanchez, il cileno dell’Inter. Ma oggi vanno tutti a cento all’ora sul campo, è davvero un altro sport».
Ancora dal libro. “Sollier è diventato famoso perché si occupa di politica”. Oggi perché si diventa famosi?
«Basta una comparsata sui social. L’impatto dell’immagine è ovviamente diversa, il mio tempo era preistoria».
A proposito di immagine. Sollier è stato mai danneggiato da quello che rappresentava? Avrebbe fatto un’altra carriera se fosse stato più allineato?
«Me lo chiedono sempre e io do sempre la stessa risposta. No. Sul campo io ero un lottatore, uno che dava tutto, ma non avevo niente del campione. Ho fatto la carriera che dovevo fare».
Vorrebbe essere giovane oggi?
«No, non mi interessa. Ho sempre apprezzato il percorso della vita. Il passaggio alla vecchiaia è naturale, bisogna solo sapersi adattare. Ogni giorno può essere ancora diverso da quello precedente, sono sempre pronto a rimettermi in gioco, a fornire il mio impegno civile. Ma rendersi conto di aver fallito tutto è una mazzata mica male».
Il suo pugno chiuso è passato alla piccola grande storia dei gesti politici nello sport. Oggi ci si inginocchia contro le discriminazioni razziali: lei lo farebbe?
«È importante farlo, a patto che non resti un’immagine da vendere in giro per il mondo. Perché così diventa inutile e allora mi chiedo, quanti di quegli atleti che si inginocchiano poi fanno davvero qualcosa di concreto per affermare quei diritti?».
Nel libro si parla molto di sesso e in maniera dura, grezza. Di amori di una notte, di scopate, di masturbazione. Sono passati 50 anni e il sesso è rimasto un tabù, un argomento da evitare per gli sportivi. Come mai?
«È la contraddizione di una società che si definisce così tanto moderna eppure ha ancora paura a parlare di sesso. L’omosessualità non è ancora accettata nell’ambiente. Siamo moderni solo a parole, nei fatti siamo, anzi sono, rimasti indietro».
Pagina 65: “Per la prima volta ho dovuto scegliere tra essere un calciatore e fare il calciatore”. Lei scelse la seconda via. E oggi?
«Oggi sono tutti calciatori e basta. Vede in giro qualcuno che fa altro? Che si impegna in altri mondi che non siano lo stadio. Sì, certo, immagino che qualcuno lo faccia senza farlo sapere, ma sono davvero casi isolati».
Scrive che detestava due cose, i compleanni e gli autografi. Ci ha fatto pace?
«No. I compleanni mi stanno ancora sulle balle. Tolti quelli dei familiari, da giovane ho sempre considerato gli auguri come un simbolo di ipocrisia. Cioè, non mi parli per un anno, non ti interessa quello che dico o quello che penso e quel giorno vieni a farmi gli auguri? Lascia stare allora che è meglio».
E gli autografi?
«Io non capivo che cosa se ne facesse una persona della mia firma. Mi vuoi conoscere? Ti interessa così tanto la mia persona? Allora vediamoci, parliamo. Magari sono io che voglio conoscere te, ma di firmarti su un foglio non me ne faccio nulla. A parte che oggi ci sono i selfie, chi va più a caccia di autografi?».
Da una vita contro a una vita di lato, è stato così per Paolo Sollier?
«Direi di sì. Di quanto avrei voluto a livello politico e sociale si è realizzato nulla. Abbiamo fallito, ma io non ho mai smesso di crederci. Se domani mi chiamano sono pronto».—