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 2022  febbraio 19 Sabato calendario

Un libro per raccontare Raul Gardini

«Gardini non sono io, per niente. Né scrivo questo libro per nostalgia, perché guardo con rimpianto ad altri tempi, altri uomini, padri, maschi. Però quei maschi, che non sono io e che non rimpiango, mi interessano. Sono mio padre, i suoi amici, anche i miei. Sono i maschi con cui sono cresciuta, quelli con cui ho fatto l’amore, che hanno governato il mio paese. Io li ho visti quei maschi, li ho osservati muoversi con la disinvoltura che ti viene dal vivere in un mondo che hai plasmato a tua immagine e somiglianza. Adesso quei maschi vengono considerati nemici. Proprio come la plastica o la carne».
Eccola, l’intuizione al cuore del nuovo romanzo di Elena Stancanelli. Diverse cose che a lungo abbiamo considerato giuste, persino indispensabili, sono state spazzate via dalla fine del Novecento. La carne, che mangiavamo ogni giorno per non crescere «rachitici», e che è stata poi messa al bando, o la plastica, che alla sua nascita era reputata addirittura ecologica, e che invece adesso inquina i mari (ma è anche il materiale che ci ha aiutato ad affrontare l’epidemia Covid-19, basti pensare ai guanti, ai paramenti, alle siringhe usa e getta con cui ci hanno vaccinati). Pure gli uomini sono caduti in disgrazia – o almeno è successo al modello maschile tradizionale, sconfitto dalla Storia perché inadatto al tempo. Oggi l’uomo è guardato con sospetto anche quando non è un predatore sessuale, anche quando è serio o coraggioso.
Raul Gardini – verso cui Stancanelli ha sviluppato un’ossessione tale da spingerla a studiare l’intero scibile su di lui, come testimonia la corposa bibliografia in fondo al libro, e a intervistarne gli amici e i parenti – ha dedicato l’esistenza al lavoro, perché era una di quelle persone che hanno bisogno di intervenire sulla realtà e modificarla, era uno che credeva nel progresso. Era bello, abbronzato come un avventuriero, ricco per nascita e poi erede acquisito di una delle più importanti famiglie industriali del Paese. Era un giocatore di poker, uno che si faceva accendere dall’adrenalina e dal rischio, non a caso il più bravo a tuffarsi dal molo di Marina di Ravenna, in gioventù, unendo all’eleganza il pericolo della sospensione, così seducente per le ragazze. È lui Il tuffatore del titolo, lui che ha conquistato la primogenita dell’imprenditore Serafino Ferruzzi, Idina. Era un maschio romagnolo, che – sottolinea l’autrice – è una categoria antropologica precisa: l’abbiamo appresa grazie ai film di Fellini. Il mare, i soprannomi, le barzellette, le piadine e i tortellini, il Barbera, le sigarette (cento Muratti Ambassador quotidiane: leggenda narra che alla domanda «quanto fumi?» Raul rispondesse «più che posso»), la mitizzazione di ogni storia. Gardini apparteneva a un’epoca in cui l’essere umano, in particolare di sesso maschile, era al centro. Per lui il denaro, il potere, l’imprenditoria, il commercio e la produzione erano strumenti utili a migliorare l’esistenza di tutti. Aveva l’animo del condottiero, dell’esploratore guidato dal dio Pothos, il dio del desiderio verso l’irraggiungibile, il dio di chi ha fame di conquista, di chi vuole cambiare il mondo. La sua parabola, che attraversa la seconda metà del Novecento italiano, è la storia di una generazione scomparsa.
Stancanelli non scrive la sua biografia, né lo usa come specchio, perché lei è una donna, ma anche perché non è ciò che le interessa fare. Fin dall’inizio dichiara di non avere nulla in comune con il protagonista del suo libro, se non quell’asimmetria degli occhi, uno diverso dall’altro per forma, esattamente come gli occhi di Fabrizio De André, che a Gardini è collegato per tanti motivi, non solo perché nel 1982 suo padre Giuseppe, che per anni aveva amministrato l’Eridania, fu da lui licenziato. Fabrizio De André gli somiglia specialmente perché è distante da quell’idea di benessere che ormai ci ha soggiogati, una «manutenzione della vita» della quale la gente impegnata a vivere davvero, come lui e Gardini, non avrebbe potuto preoccuparsi. Stancanelli non scrive la sua biografia perché tenta un’operazione più personale, più originale. Ripercorre la Storia italiana dal dopoguerra a oggi tramite i personaggi e gli eventi della politica nazionale e internazionale, con un impianto digressivo, che si affida alle memorie intime, legate a un’amica amatissima morta troppo presto, all’enumerazione di dati e spiegazioni tecniche, con un lessico dunque mobile, ricchissimo, ma anche, soprattutto, alla letteratura: il parallelo tra Petrolio di Pasolini e L’odore del sangue di Parise, nei quali la fellatio è un rito sacrale e il pene un «oggetto totemico», è una delle parti più belle. In questo modo prova a rendere conto del cataclisma in corso nel nuovo millennio, e ci racconta quella che considera (ma è veramente così?, mi chiedo, le chiedo) la fine del potere fondato sulla virilità, ossia l’estinzione del maschio. —