La Stampa, 19 febbraio 2022
Intervista a Claudio Descalzi
milano
L’Italia è alle prese con il caro-energia. E Claudio Descalzi, ad dell’Eni, sa perfettamente che il colosso da lui guidato può essere parte della soluzione: «Siamo disponibili e pronti a investire sul fronte del gas in Italia». Racconta di averne parlato col governo e assicura di avere «capacità di aumentare la produzione». Un’apertura che arriva nel giorno dei conti relativi al 2021, chiusi per l’Eni con utili che sorprendono il mercato, a quota 6,13 miliardi (4,7 miliardi di euro a livello organico), ai massimi dal 2012. «Per noi è stato un anno molto positivo – commenta –. Rispetto a dieci anni fa, quando il petrolio era oltre quota 110 dollari al barile, abbiamo fatto questi numeri con il greggio poco sopra i 70 dollari, grazie alla nostra disciplina soprattutto negli investimenti e nei costi».
Descalzi, partiamo dalle bollette. Quanto durerà questa emergenza?
«L’Italia ha una grossa componente di gas. L’attuale situazione andrà avanti fin quando l’offerta di gas resterà scarsa rispetto alla domanda. Nel 2022 l’andamento dei prezzi procederà in modo non costante, visto che durante l’estate la domanda di gas scende e i prezzi si riducono. La situazione potrà migliorare stabilmente solo quando ci saranno nuovi contributi importanti, il gnl dal Qatar per esempio, o nuovi volumi dai paesi produttori. E quando ci sarà una geopolitica meno nervosa».
Quali prezzi potremo rivedere?
«Al momento vedo difficile una discesa drastica ai livelli del 2019, di certo non si arriverà più a quelli del 2020. Penso che ci sarà una stabilizzazione verso il basso ma sempre con valori più alti di quelli a cui eravamo abituati».
Spingere sulla produzione italiana raffredderà i costi?
«Se inseriamo nel paniere più volumi, il prezzo si abbasserà».
Quanto tempo occorrerà per sfruttare appieno i giacimenti nostrani?
«Per quanto ci riguarda potremmo avere una scaletta di crescita interessante in 2-3 anni, non in sei mesi. Mi spiego: alcune produzioni potrebbero cominciare a entrare fra 6-7 mesi, poi ne entreranno altre per risalire. Il problema è che noi siamo fermi da molto tempo nell’upstream italiano: la ripartenza non è una cosa che si fa schioccando le dita».
Un’eventuale guerra in Ucraina quanto impatterebbe sui prezzi di gas e petrolio?
«Anche quando c’è stata la guerra in Ucraina il gas è sempre arrivato, perché non è stato interessato dalle sanzioni. Se si bloccasse la conduttura ucraina, si potrebbe sfruttare quella che viene dalla Bielorussia che è praticamente vuota. Se invece ci fossero delle sanzioni sul gas, e si dovesse interrompere completamente il flusso che viene dalla Russia, ossia 140-150 miliardi di metri cubi l’anno, l’Europa non avrebbe capacità di compensarli. Sarebbe una disruption importante. E peserebbe moltissimo sui prezzi».
E il petrolio dove arriverà?
«Per giugno, secondo Aie e Opec, potrebbe raggiungere i 100 dollari al barile. Ora è a 94 dollari, se continua l’escalation potrebbe arrivare a valori ancora più importanti. Se entrassero nuove produzioni il valore potrebbe essere attenuato. Tutte le aree interessate – penso a Medio Oriente, Africa, Russia, Iraq, Usa – con questi prezzi intensificano le produzioni: loro hanno in mano la chiave per poter dare più offerta e ridurre i prezzi».
Non si rischia di frenare la decarbonizzazione?
«Per quel che riguarda le società europee e l’Eni in particolare, no. Il nostro obiettivo è mantenere piatti gli investimenti soprattutto nell’estrazione e riuscire a crescere sempre più velocemente negli altri business, proseguendo nella trasformazione».
Avete chiuso il 2021 con un bilancio che non si vedeva dal 2012. Il petrolio immagino vi abbia aiutato, ma cosa ha fatto la differenza?
«Nel 2012 i prezzi del petrolio erano oltre i 110 dollari. La differenza è stata fatta dalla grande disciplina sugli investimenti. Sul punto abbiamo mantenuto gli stessi livelli del 2020, nonostante la situazione covid dell’anno non fosse normalizzata, e investendo circa un 20% nella trasformazione: siamo stati molto attivi nell’acquisizione di capacità nelle energie rinnovabili, nell’espansione in Spagna, Francia e in Grecia. Abbiamo abbassato di 2,6 miliardi il debito».
Rispetto a dieci anni fa siete molto diversi, è così?
«Quando il greggio era a 110 dollari eravamo molto più costosi, con modelli gestionali completamente differenti. Siamo riusciti a mantenere la macchina in carreggiata nonostante due anni di covid. Abbiamo portato la nostra neutralità di cassa da 52-53 dollari a 40 dollari: vuol dire che già a tale livello di prezzo riusciamo a ripagarci tutti gli investimenti. Una soglia che non avevamo mai raggiunto prima d’ora».
Quanto pesano i nuovi business e le energie rinnovabili?
«Il risultato di Plenitude, la società che quoteremo entro l’anno e che ha dentro i clienti retail ma anche quasi 2 gigawatt da fonti rinnovabili, capacità più che triplicata in un anno, rispetto all’anno scorso è migliorato del 25%, con un margine operativo lordo di 600 milioni, anticipando le aspettative».
La produzione di idrocarburi è aumentata del 2,7%. C’è ancora spinta a cercare nuovi giacimenti o viene meno a favore della trasformazione del business?
«Sta venendo meno a favore della trasformazione. Cambiano i modelli di business. Noi l’avevamo già mutato 5-6-7 anni fa. Stiamo cercando un’esplorazione poco rischiosa, vicino a installazioni esistenti per ridurre gli investimenti perché le installazioni ci sono già. Anche se la domanda è tornata vicina a quella che c’era nel 2018-2019, gli investimenti che si allocavano prima nell’upstream non ci saranno più. Siamo in una situazione in cui si deve guardare al breve termine ma investire per il futuro. Ecco perché è essenziale essere disciplinati». —