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 2022  febbraio 19 Sabato calendario

Agnelli e l’accordo da 950 milioni con il fisco


Doppia tegola sulle cassaforti di casa Agnelli: 746 milioni (104 gli interessi) per Exor e 203 milioni (28 alla voce interessi) a carico della Giovanni Agnelli, che controlla la stessa Exor. Di fatto, entrambe le società hanno definito le proprie pendenze con il Fisco italiano per il 2016. L’accordo raggiunto tra Exor e l’Agenzia delle Entrate riguarda le plusvalenze derivanti dal trasferimento in Olanda della holding al cui vertice siede John Elkann. A questo punto, i 746 milioni pattuiti – e pagati per cassa – peseranno sui conti di Exor del 2021, il cui primo semestre si era chiuso con un utile di 838 milioni (non dovrebbe comunque passare in «rosso» nell’intero anno). Lo stesso bilancio aveva visto un incasso di dividendi pari a 1,7 miliardi di euro e serviti per pagare le cedole agli azionisti e fare investimenti.
Risale al 2016 la decisione della holding di ridomiciliarsi in Olanda, perché olandese era già la residenza di molte delle società controllate, come Cnh Industrial, Fca e Ferrari. Tra l’altro, anche Stellantis, che ha da poco celebrato il primo anno di operatività, nel 2021 ha scelto Amsterdam per la sua residenza. «Il tutto – spiega Exor – per l’esigenza di armonizzazione dei sistemi di governance e di regole del diritto societario, non di convenienza fiscale: il trattamento fiscale sulle plusvalenze è praticamente uguale in Italia e in Olanda». E per evitare un lungo e costoso contenzioso tributario, la holding ha così scelto di sottoscrivere l’accordo e di pagare quanto pattuito, pur rimanendo del tutto convinta di aver agito correttamente e rivendicando di non aver violato alcuna norma in tema di Exit Tax, l’imposta sui redditi dovuta sulle plusvalenze realizzate in occasione del trasferimento della residenza verso uno Stato appartenente all’Ue oppure aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo. Al riguardo, aggiunge la nota, «c’è il fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha comminato alcuna sanzione a fronte della contestazione sollevata: l’ammontare pagato per l’Exit Tax corrisponde solo al ricalcolo del maggiore imponibile e ai relativi interessi».
In occasione della fusione transfrontaliera, Exor aveva applicato la disciplina della Participation Exemption (Pex) prevista dall’articolo 87 del Corporate Income Tax Act. In tale regime, il 95% delle eventuali plusvalenze relative al valore delle sue partecipazioni era esente e, quindi, escluso dal reddito imponibile della holding per la determinazione della Exit Tax.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto, però, successivamente, che la Participation Exemption «non dovesse applicarsi ai casi in cui una holding trasferisce il proprio domicilio fiscale all’estero senza mantenere una stabile organizzazione in Italia». Exor, comunque, resta convinta di aver agito secondo le regole. E precisa che «non sussistono ulteriori questioni fiscali pendenti in relazione agli anni nei quali la holding ha avuto la residenza fiscale in Italia per i quali risultano anche scaduti gli ordinari termini di accertamento».
Da parte sua, la Giovanni Agnelli ritiene pure di «avere correttamente operato e di non aver commesso alcuna violazione della normativa applicabile nella determinazione della Exit Tax». La cifra pagata da Exor corrisponde a circa il 2,5% del suo valore (intorno a 30 miliardi). L’esborso non cambierà le sue strategie di investimento e sviluppo. La parola passa ai mercati.