Il Messaggero, 19 febbraio 2022
Non sono giochi per bambini. Il Cio sta pensando di elevare l’età minima ad almeno 17 anni, forse 18
Quanto vale, quanto costa in termini di vita rubata, quanto dolore e rimproveri e fatiche si devono sopportare per arrampicarsi su un salto quadruplo, per essere la prima nella storia a esibirlo in un’Olimpiade, e ad appena quindici anni? E la volta dopo invece sbagliarlo, riatterrare sul ghiaccio col sedere, anziché coi pattini, e vedere sfumare una medaglia, e intanto le lacrime si impastano col mascara, rigano il volto bambino, rendono i lineamenti una grottesca maschera atellana di imbarazzo e morte dentro: cosa comporta tutto ciò, quanto e cosa distrugge nell’anima, e per sempre, dato che si è poco più che bambine? Chiedetelo a Kamila Valieva, vi intratterrà per ore sull’argomento, se potesse, se volesse, ma poi a che servirebbe.
IL SILENZIO
Ora comunque non può e non vuole, ha bisogno solo di silenzio e riposo. Almeno le è arrivato un lungo messaggio di affetto da parte del presidente del Cio Thomas Bach, finalmente, era ora, non è mai successo: «Spero che la sua famiglia la aiuti». Del resto il mondo assiste da cinquant’anni, almeno dalla ginnasta Olga Korbut a Monaco 1972 che fu l’apripista a 17 anni, allo scempio delle schiave bambine dello sport, mandate al massacro perché lo Stato lo vuole, perché le medaglie servono a qualsiasi regime, e chi se ne importa delle conseguenze sull’anima: tanto se ne sbriciola una, oggi, e ne spunterà un’altra domani, è puro cinico calcolo delle probabilità, anzi si chiama programmazione. Ginnaste, pattinatrici, nuotatrici, tuffatrici. Spesso dai paesi dell’Est, ma non solo. Tredicenni, quattordicenni o poco più. Piccole donne sacrificate sull’altare pagano dello sport di élite, allenate a diventare fenomeni, dopate, masticate e sputate via, a volte stuprate (la Korbut e pure Nadia Comaneci, enfant prodige di 14 anni a Montreal 1976, raccontarono di violenze anche sessuali da parte degli allenatori). Quante volte le abbiamo viste e compiante, e intanto non cambiava niente. Ma si vede che le scene dell’altro giorno al Capital Indoor Stadium di Pechino hanno colpito troppo. Tutti quelli dotati di cuore hanno sofferto il dramma sportivo e umano di Kamila Valieva, 16 anni il prossimo aprile, pattinatrice russa, anzi tatara di Kazan, una fuoriclasse, già minata durante i Giochi dalla polemica sulla sua positività alla trimetazidina, un farmaco per cardiopatici. Ha gareggiato lo stesso dopo un’infernale lotta di carte bollate perché deve essere ancora giudicata, così ha vinto una medaglia d’oro esibendo l’inedito salto quadruplo ma vicino al suo nome c’è l’asterisco del sub iudice, e nemmeno c’è stata premiazione; poi nella prova del programma libero, i nervi ormai polverizzati («Sono giorni tremendi, è come se non avessi più emozioni»), è caduta non una ma tre volte, è precipitata al quarto posto e si è beccata pure i rimproveri secchi dell’allenatrice Eteri Tuberidze, ormai per tutti Crudelia. Il giorno dopo Thomas Bach ha preso la parola, ed è la prima volta che un alto esponente del mondo dello sport si esprime così: «Sono stato molto turbato dalle immagini. Ho assistito a momenti agghiaccianti. Il linguaggio del corpo dell’atleta durante l’esercizio faceva capire quanto pesante fosse la pressione su di lei. Forse avrebbe preferito mollare tutto e andarsene a casa. Lottava sul ghiaccio, cercava di ricomporsi dopo un errore, in preda a uno stress terribile. Mi ha colpito molto il trattamento del suo entourage, che anziché aiutarla e darle conforto era gelido. Una tremenda freddezza. Tutto ciò non fa che alimentare dubbi su chi la circonda. Spero che trovi conforto nella sua famiglia, nei suoi amici».
I DUBBI
Addirittura trapela dal Cio che si starebbe valutando di elevare l’età minima di partecipazione ai grandi eventi: almeno 17 anni, forse 18, già da Milano-Cortina 2026. Sarebbe cosa buona e giusta, sottrarrebbe tante ragazze e ragazzi all’infelicità. Un’altra atleta russa, Alexandra Trusova, 17 anni, ha vinto l’argento nella stessa gara in cui la Valieva è arrivata quarta, ed esibendo ben cinque salti quadrupli. La delusione per non aver vinto l’oro l’ha condotta a una crisi di nervi: «Odio questo sport, non gareggerò mai più». Più tardi, a mente fredda, ha detto tutta la verità: «Sono molto stanca, capitemi: da tre settimane non vedo mia madre e i miei cani». A 17 anni, in effetti, la vita è quella. Deve essere quella. Non in mezzo agli orchi.