il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2022
Un film per riabilitare Formigoni
L’uomo non difetta d’ego, e questo è noto. Ma serviva fantasia per immaginare che Roberto Formigoni arrivasse a interpretare un documentario su se stesso, presentandolo poi al cinema durante le ore di permesso dagli arresti domiciliari. E invece così è, in barba al senso della realtà di chi non sogna in grande. L’opera si chiama Roberto F., dura 52 minuti e sarà proiettata per la prima volta alla Cineteca di Milano il 2 marzo, con la preziosa introduzione del protagonista.
Il film è un atto di riabilitazione che sfocia nell’apologia, senza neanche porsi il problema di risultare esagerato. I guai giudiziari di Formigoni, lungi dal costituire un problema, sono semmai la molla per far partire il revisionismo, come chiarisce subito Pino Farinotti, ideatore del documentario: “Formigoni sta scontando una condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione, ma con la prova che sta dando di sé la giustizia forse è doveroso ri-raccontare la sua storia”.
E allora eccolo, il Celeste, ritratto in scene di vita quotidiana (mentre si pettina, mentre si prepara il caffè, mentre legge il giornale) e poi in mezzo alla città, in un racconto che alterna la sua voce a quella di commossi testimoni della sua magnificenza. Formigoni non teme accuse di falsa modestia: “La mia politica ha avuto forte valenza sociale. Mi sono molto preoccupato dei meno fortunati, ho pensato molto alle famiglie numerose, a quelle con anziani o con un reddito inferiore alla soglia di sussistenza”. Com’è umano lei, insomma: “Sono stati anni di grande riforme, prima fra tutte quella sanitaria. Abbiamo dato una botta d’efficienza agli ospedali allargando a poche rinomatissime strutture private”.
Ma ci sono anche imprese eroiche. Come quella volta che “Saddam aveva preso in ostaggio centinaia di italiani in Iraq” dopo l’invasione del Kuwait e allora entrò in azione Formigoni, che qui la racconta come Verdone tra le liane e i pirañas in Troppo forte: “L’Italia non faceva niente e allora decisi di muovermi personalmente. Andai in Iraq per incontrare Saddam. Lui tenne per tre ore la pistola sul tavolo. Gli chiesi un gesto di pace. Nel pomeriggio mi richiamarono e dissero di aver accettato la liberazione degli italiani”.
Formigoni, da attore consumato, può contare pure su valide spalle. Il già citato Farinotti ricorda come la Lombardia, durante il suo Regno, “si sia confermata leader nazionale di efficienza, operosità e accoglienza”. Cristina Cattaneo, già funzionaria della Regione, rammenta il presidente come uomo “di grandissimo carisma”, “aveva una voce forte e chiara”. Giancarla Neva Sbrissa, anche lei dirigente regionale, esonda quasi nel metafisico: “Aveva una sorta di innata potenza”. Andrée Ruth Shammah, regista e direttrice artistica, sintetizza: “Ci dava l’orgoglio di essere lombardi”. Colto da fantozziane allucinazioni competitive, Formigoni decide allora di sparare alto: “Non ho mai ricevuto un diniego, tutti i capi di Stato volevano incontrare Formigoni”.
È con queste premesse che il documentario, negli ultimi 5 minuti, torna sulla condanna del nostro eroe. E lo fa con un collegio difensivo di prim’ordine. Vittorio Feltri definisce “disgustoso” quel che gli è successo. Piero Sansonetti, direttore del Riformista per mestiere e giurista per hobby, assicura che “Formigoni è stato condannato, ma non ci sono prove”. L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini giura “di aver letto e riletto la sentenza senza trovare un fatto che giustifichi la condanna”.
Farinotti li lascia parlare e allarga le braccia sornione: “Non potevo mica censurarli”. D’altra parte che il suo nome è passato per qualche scandalo, essendo legato a doppio nodo al caso della Lombardia Film Commission, quel vorticoso giro di denaro per l’acquisto del capannone da 800 mila euro per il quale sono stati condannati i due commercialisti della Lega Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni (5 anni e 4 mesi il primo, 4 anni e 4 mesi il secondo). Farinotti della Lfc è stato il presidente (a titolo gratuito) a partire dall’estate 2018: fu lui che materialmente siglò il rogito con il quale Lfc comprava – e pagava per intero, in anticipo – la struttura di Cormano. E molto cinematografico fu anche il modo in cui ottenne l’incarico di presidente, come ha raccontato lo stesso Farinotti: “Sono in pasticceria e sto leggendo un articolo su Salvini. Alzo gli occhi e me lo trovo davanti. Gli dico: ‘Ma sono su Scherzi a parte?’. E lui: ‘Di uno come te avremmo bisogno come il pane’”. Oggi Giovanni De Santis, proprietario della Dna distribuzione, rivendica: “Siamo stati molto coraggiosi ad affidare Roberto F. a Farinotti, perché potrebbe dare adito a critiche. Ma ci siamo abituati”.
E figurarsi se non ci è abituato il Celeste, che tra un paio di settimane si presenterà alla Cineteca di Milano – a sua volta già coperta di insulti sui social – per presentare il film sulla sua vita col lusso di aver già fatto la tara ai difetti. “Continuerò a fare politica, non ci si può rinunciare”, è la minaccia di Formigoni negli ultimi secondi del documentario. Chissà quanto altro materiale per il sequel di Roberto F