Corriere della Sera, 18 febbraio 2022
Macron chiude la missione in Mali
PARIGI «Non possiamo più restare impegnati militarmente a fianco di autorità di fatto (il governo golpista del Mali, ndr) delle quali non condividiamo né la strategia né gli obiettivi nascosti, e che fanno ricorso a mercenari della società russa Wagner dalle ambizioni predatrici». Con queste parole il presidente Emmanuel Macron ha confermato quel che ormai si sapeva da giorni, e cioè che la Francia pone fine in Mali alle operazioni Barkhane e Takuba, che conduceva con l’aiuto dei partner dell’Unione europea e del Canada.
L’obiettivo adesso è scongiurare qualsiasi, anche lontano, paragone con il repentino e caotico abbandono americano dell’Afghanistan. Quindi, «ritiro coordinato», che prenderà «da quattro a sei mesi» perché lo sforzo logistico è colossale: la chiusura delle basi di Gao, Menaka e Gossi comporterà il trasferimento in patria di uomini e materiali senza la possibilità di ricorrere a un rapido ponte aereo, che è al di là delle capacità dell’esercito francese.
Prima di partecipare a un vertice tra Unione europea e Unione africana a Bruxelles, Macron ha dato l’annuncio ieri mattina al termine di un incontro all’Eliseo con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e con Macky Sall, leader senegalese e dell’Unione africana.
La Francia però non lascia la regione del Sahel che assieme al Golfo di Guinea è ormai diventata «una priorità nelle strategie di espansione di Al Qaeda e dello Stato islamico», ha detto Macron. Partono dal Mali i 2400 soldati francesi di Barkhane e gli 800 agenti delle forze speciali europee di Takuba, ma Parigi manterrà nel Sahel, in particolare in Niger, tra 2.500 e 3.000 soldati. C’è poi la questione del futuro di Minusma, la missione dell’Onu in Mali forte di oltre 13 mila caschi blu, che si troverà a contatto con i circa 1.000 mercenari di Wagner, la società di sicurezza privata russa ingaggiata dalla giunta al potere.
Altra priorità di Macron è rivendicare gli aspetti positivi di una missione cominciata nove anni fa, quando il presidente François Hollande decise di inviare le truppe per evitare che anche la capitale Bamako finisse nella mani dei ribelli jihadisti. «Non è stato un fallimento», ripete Macron, che sottolinea la lotta condotta in Mali e nel Sahel contro il terrorismo islamista che avrebbe potuto colpire l’Europa. Resta il dolore per i 53 soldati francesi morti in combattimento. «Che spreco – ha detto a Le Monde Dominique Protin, padre di uno di loro —. Che cosa penserebbero i nostri figli di tutto questo, oggi?».
François Hollande, il capo di Stato che decise l’intervento, ieri ha preso le distanze dalle decisioni del suo successore Macron: «Io avrei scelto senz’altro un ritiro più precoce, dopo il primo colpo di Stato del 2020. Bisognava andarsene prima».
Il ritiro ordinato previsto da Macron nei prossimi mesi sarà messo alla prova dal crescente sentimento anti-francese che si è sviluppato in Mali e nei Paesi vicini.