Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 18 Venerdì calendario

Gli ottant’anni di Oliviero Toscani

Gli ricordi che il 28 febbraio sono 80 anni e Oliviero Toscani chiede: «Davvero?». In effetti, a vederlo, sembra ancora capace di stare in piedi su un cavallo, vestito da cowboy, come nella foto che campeggia sulla copertina di Ne ho fatte di tutti i colori – Vita e fortuna di un situazionista, l’autobiografia che esce il 24 per La nave di Teseo. Lui si schermisce: «Lei non sa di questo corpo che odio, della discrepanza fra cervello e corpo! Mi porto dietro questo rottame, questa baracca. Sa com’è avere una vecchia auto? Non puoi accelerare quando vuoi, non puoi frenare…».
A giudicare dalle tante cose che fa, sembra stare benissimo.
«Sono appena tornato a fare il reporter per il direttore di Oggi Carlo Verdelli: mi diverto come un matto. Faccio quello che faceva mio padre per il Corriere della Sera. C’è da fotografare Dino Zoff che fa 80 anni il mio stesso giorno? Vado a Roma e lo faccio in mezz’ora, che mi guarda con la faccia fra le mani. Che faccia».
Una volta, ha detto d’aver fotografato così tante persone da saper leggere in ognuno i suoi angeli e demoni.
«Ho fotografato 80 mila facce solo per il progetto Razza Umana. Il carisma lo sento come un odore. Posso dire che non esiste una persona brutta. I diseredati che nessuno guarda sono i più interessanti. Ho cercato di annullare la parte estetica della foto: fermo le persone per strada e sono loro che mi guardano come se fotografassero me».
A 80 anni, ferma ancora le persone per strada?
«A giugno, sono andato in Germania a fare i tedeschi del XXI secolo. Uno se li immagina biondi e occhi azzurri, invece sono turchi, italiani, afghani. Uscirà un libro, ci sarà un’esposizione a Berlino ad aprile: ho fatto 800 ritratti».
Da solo, in un mese?
«In dieci giorni. Quando sei ragazzo, fai tutto. E tutti fotografati da me personalmente, non dagli assistenti».
In vacanza è mai andato?
«Io non ho mai lavorato. Ho sempre vissuto. Con che cosa ti esprimi? Pigliando il sole? Immagini tre sdraio, una con Leonardo da Vinci, una con Albert Einstein e una con me. Finché prendiamo il sole, siamo tutti uguali, è quando ti alzi che fai la differenza. Ora, sono tornato da un mese a Santo Domingo, mia figlia vive lì. Era la prima volta che non lavoravo nel senso che intende lei, ma ero oberatissimo: mi hanno obbligato ad andare in palestra, un posto che detesto, da cretini, ma mi ha fatto bene; in piscina, mia figlia mi obbligava a fare avanti e indietro. Ho giocato coi due nipoti di cinque e tre anni, un divertimento unico».
Ora è nella tenuta di Casale Marittimo, in Maremma.
«Guardi che verde… E si vedono la Corsica, l’Elba. Ho costruito qui il Toscani Circus, una specie di centro culturale. È appena stata qui Marina Abramovic, l’artista. L’ho conosciuta ad Amsterdam, avevo 18 anni nel 1960, ho fatto tutti i ‘60 da ventenne, andavo dove pensavo ci fossero persone interessanti, sovversive, mica a Courmayeur e Portofino. Faremo un progetto insieme io e Marina, una Cleaning house per ripulire le persone in senso psicologico, di creatività. La gente ha bisogno di questo, non di personal trainer e posti dove bevi l’acqua».
In un ideale album dei ricordi, come sarebbe la foto di Toscani bambino?
«Anche lei mi crede fotografo? A me interessava essere testimonial del mio tempo, potevo fare musica, cinema... Ho fatto foto perché mio padre faceva foto. L’altro equivoco è che faccio foto di pubblicità, io non ho mai lavorato con le agenzie, mai con un direttore artistico. Ho usato lo spazio destinato a promuovere i maglioni per metterci migranti e condannati a morte».

Le sue foto hanno dato scandalo. Quali di più?
«Intanto io le ho fatte per quelli che le capivano, non per quelli che si scandalizzavano. Dipende: in Italia, il prete e la suora che si baciano; in America, i preservativi colorati; in Francia, il marchio Hiv tatuato sulla pelle».
E le foto di moda?
«Ho fatto io la battaglia per avere la prima ragazza nera sulla copertina di Elle France. Nel 1971, convinsi L’Uomo Vogue a fare un monografico sui neri di New York. Avevo uno studio lì. Sono stato l’unico fotografo italiano ad andare oltre Chiasso. Ho sempre fotografato l’espressione culturale della moda, ora c’è solo espressione commerciale».
Ha lanciato anche in Europa persone diventate icone.
«La cosa più grave di arrivare in ritardo è arrivare in anticipo. Ad Andy Warhol, diedero giusto tre foto in una pagina sola. Fotografai Patti Smith appena arrivata a New York, vidi subito che aveva carisma, ma l’editor di Vogue Italia non la volle. Pure a Lou Reed diedero solo una pagina».
Fu anche il primo a portare Monica Bellucci a Parigi.
«La vidi a Milano. Mi piace usare le ragazze nuove: sono ancora esseri umani, poi diventano modelle e diventano involucri vuoti. Siamo andati, abbiamo fatto le foto e Monica è rimasta là».
Lei ha sei figli da tre mamme, 16 nipoti, una moglie, Kirsty Moseng, con cui sta da 50 anni. Che patriarca è?
«Sarei stato un single perfetto. Invece, sta parlando con la persona più fortunata e privilegiata che io conosca».
Fortunato per le donne che ha incontrato?
«Se non potessi dirlo, dovrei spararmi».
Alla fine, qual è il segreto per restare giovani?
«Non entrare mai in banca. Io ho sempre avuto qualcuno che lo faceva per me. Non ho mai parlato di bollette, scartoffie, di problemi imbecilli».