Corriere della Sera, 18 febbraio 2022
I leader e l’ossessione del Dna
Arrivati a Mosca a distanza di una settimana uno dall’altro per incontrare Vladimir Putin, sia Emmanuel Macron che Olaf Scholz hanno entrambi rifiutato di fare il test molecolare per il Covid offerto dai servizi medici del Cremlino. Ma siccome era indispensabile per vedere il presidente russo, il presidente francese e il cancelliere tedesco si sono sottoposti a un Pcr eseguito dai medici delle rispettive ambasciate, con apparecchi portati dalla Francia e dalla Germania. Il personale medico russo è stato invitato ad assistere alla prova. La ragione del rifiuto è che Macron e Scholz non volevano che i russi entrassero in possesso dei loro dna.
Ma perché i servizi del Cremlino avrebbero avuto tanto interesse al codice genetico dei due leader? Tanto più che non sarebbe stato poi così difficile ottenerlo, bastando soltanto un bicchiere usato dai due o pochi fili di capelli lasciati su una sedia.
«Innanzitutto, non sarebbe stato così chiaro e leggibile come quello avuto da un test Covid – spiega Florian Schimikowski, storico del Museo tedesco dello spionaggio —, ma il punto è che i dati sono diventati merce preziosa e le tracce genetiche sono sicuramente quelle più sensibili e personali. Per i servizi segreti una vera miniera d’oro, anche soltanto a futura memoria».
È un fatto che molte intelligence siano state da sempre interessate ai dati biometrici delle persone. Negli Stati Uniti voci mai confermate sostengono che la Cia ha accesso agli archivi del dna, creati con le prove inviate liberamente da privati cittadini, per esempio per ricerche genealogiche. Nei cablo di WikiLeaks si cita un ordine di Hillary Clinton, al tempo in cui era segretario di Stato, per ottenere qualsiasi dettaglio individuale, dna incluso, di esponenti africani. È una storia che va a ritroso.
Negli anni 80 l’intelligence statunitense avrebbe sottratto le feci del presidente filippino Ferdinand Marcos. È certo invece che abbia raccolto la cartella clinica di Saddam Hussein e di altri capi arabi in ospedali occidentali. Nel febbraio 1999 il Mossad si sarebbe invece impossessato delle urine del leader siriano Hafez Assad durante i funerali di re Hussein in Giordania, mossa per capirne lo stato di salute in vista di possibili negoziati. Poteva Israele scommettere su un uomo malato? Il raìs morirà qualche mese dopo. Vicenda ritenuta da alcuni una leggenda metropolitana ma che ha lasciato il segno. Tanto è vero che il dittatore nordcoreano Kim Jong- un, in occasione del summit con Donald Trump a Singapore nel 2018, si è portato dietro il wc personale. Vale cioè il detto «così fan tutti». Nella Ddr la Stasi nei suoi archivi collezionava anche prove olfattive dei nemici del regime. Secondo Schimikowski, anche i suoi maestri russi raccoglievano dati personali genetici e molto probabilmente la «passione» resta.
Ma per quale uso, nel caso dei leader politici stranieri? Non soltanto per capirne le condizioni di salute traendone conseguenze politiche, come sarebbe stato il caso di Assad, ma anche per trovare eventuali malattie ereditarie o l’origine dei loro antenati. Tutte informazioni che potrebbero teoricamente essere usate a scopo di ricatto o di propaganda negativa. Oppure i servizi potrebbero usare i dati per ordire delle trappole, fabbricando fake news e coinvolgendo ingiustamente un premier, un ministro o un deputato in un crimine o in un affaire extraconiugale.
«Quando finisce la diplomazia e inizia una guerra, il gioco si fa duro e le misure sporche diventano teoricamente parte dell’arsenale», dice Schimikowski. Si capiscono quindi meglio le preoccupazioni di Macron e Scholz, nonostante non ci siano indicazioni concrete che il Pcr richiesto dal Cremlino avesse anche secondi fini.
D’altronde, lo stesso Vladimir Putin tiene molto alla sicurezza del proprio dna, già da ben prima dell’esplosione della pandemia. Al vertice G20 di Osaka nel 2019, il capo del Cremlino andava in giro con un thermos personale pieno di tè. Le foto lo mostrano mentre beve direttamente dal contenitore, con accanto Donald Trump che tracanna Coca Cola da un bicchiere di vetro. Eppure, secondo Ronald Kessler, autore di un libro sul Secret Service, gli agenti fino a qualche anno fa si preoccupavano di rastrellare qualsiasi oggetto, lenzuola incluse, usato dal presidente nei suoi impegni fuori della Casa Bianca. Ma forse, a Mosca su The Donald hanno ben più di una tazzina.