Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 18 Venerdì calendario

Vendere gli All Black

“L’haka non sarà mai in vendita”, giuravano. Bugiardi. Anche l’anima dei guerrieri maori ha un prezzo: 120 milioni di euro, tanto per cominciare. E altri 60 tra qualche mese, affare fatto. Il fondo californiano Silver Lake Partners si è assicurato il 10% dei diritti commerciali degli All Blacks, la mitica nazionale neozelandese di rugby. Sì, la squadra che veste di nero perché dicono porti il lutto dei propri avversari, destinati alla sconfitta: una leggenda sportiva che più o meno consapevolmente ha trasformato la sua storia – e la suggestiva danza eseguita prima di ogni partita, coi campioni che si battono il petto invocando lo spirito dei loro antenati – in un brand commerciale del valore vicino ai due miliardi.
Dopo 2 anni di trattative con New Zealand Rugby, gli investitori americani hanno raggiunto un clamoroso accordo e superato la opposizione del sindacato dei Tutti Neri, che all’inizio avevano sottoscritto una indignata lettera aperta (“La storia, haka compresa, non si compra”, scrivevano) ma poi non si sono dimostrati così implacabili ed implaccabili come sul campo da gioco. Manca ancora il via libera delle federazioni provinciali e dei rappresentanti maori, però l’entusiasmo con cui David Kirk, presidente dell’associazione dei rugbisti e capitano degli All Blacks che nel 1987 vinsero il primo dei loro 3 titoli mondiali, lascia spazio a pochi dubbi: «Arrivano degli importanti capitali su basi economiche sane, Silver Lake sarà capace di sviluppare nuove possibilità di crescita». In altre parole: i californiani – che avranno grandi margini di manovra sulle scelte finanziarie e in termini di merchandising – ci faranno guadagnare più soldi. «E quei soldi serviranno a far progredire il nostro movimento in generale, in particolare rugby femminile e quello a livello regionale», ha aggiunto Mark Robinson, presidente della Federazione.
Vale la pena di ricordare che le Black Ferns, le Felci Nere, sono già campionesse del mondo in carica e vincitrici dell’oro olimpico nella versione a 7 del gioco. Sulla decisione neozelandese pesano in parte le difficoltà legate alla pandemìa e al prolungato stop di tutti i campionati delle due isole kiwi, soprattutto delle partite internazionali, che nel 2020 ha provocato una perdita di oltre 20 milioni di euro. Perché quando viaggiano all’estero gli All Blacks fanno sempre l’esaurito, tutti vogliono assistere alla loro danza e le loro maglie vanno a ruba: negli ultimi 15 anni il valore del loro marchio è salito a un miliardo e 700 milioni, è tra i primi 5 del mondo, ma secondo Silver Lake potrà crescere ancora. All’inizio della trattativa, i californiani – che gestiscono 90 miliardi di dollari e sono proprietari del 10% della società titolare del Manchester City avevano messo sul piatto 276 milioni di euro per assicurarsi il 15% del business. Si sono accontentati. Perché anche uno sport tradizionalmente ‘puro’ come il rugby, professionistico solo dal 1995, è un grande business. «Non vediamo l’ora di mettere a disposizione le nostre risorse per permettere al rugby neozelandese di essere protagonista dell’innovazione, e approfittare delle occasioni che verranno», ha spiegato il dg del fondo, Stephen Evans. Addio alla storia, all’anima. «Le tecnologie legate ai numeri stanno trasformando tutti gli sport. È il futuro»