la Repubblica, 18 febbraio 2022
Reportage dal Dombass
KIEV – Alle 10.08 di ieri mattina «il signor Krutchenko Serhiy Mykolayovych, nato il 28 novembre del 1958», ha perso la sua casa a Stanitsja Luganska, nel quartiere Kozachy. Sfondata, distrutta. Un buco così nel tetto, anzi il tetto non c’è proprio più. Per sua fortuna il signor Krutchenko era al mercato a comprare uova e melanzane. Poco prima, alle 8,43, nello stesso paese a una manciata di chilometri da Lugansk occupata dai filorussi, sul muro dell’asilo numero 21, “La Favola”, si è aperto un buco tondo come un pozzo artesiano, e dentro c’è finito tutto l’orrore di un colpo di mortaio «di calibro sconosciuto»: ecco i mattoni sparati lontano, i palloni volati dall’armadio, i disegni dei bambini. C’erano 20 alunni e 18 adulti, nella scuola: per fortuna non erano lì, nell’aula delle attività e della musica. Contusi dall’esplosione, la maestra Natalia, 48 anni; il guardiano Oleksandr, 34; e Natalia la bidella, 54: sono all’ospedale con «barotrauma e neurite cocleare», colpo al petto e botta al timpano.
Ci sono mille cerini accesi nel pagliaio del Donbass ucraino. Il signor Krutchenko sarebbe stato solo la vittima numero 13mila e qualcosa. Non c’è un conto abbastanza preciso per i morti di questa guerra schifosa e sfiancante che si trascina dal 2014: qui le linee della Jfo, l’Operazione congiunta delle forze armate ucraine; là i “territori occupati” dai separatisti filorussi. Ma cosa sarebbe successo se quei venti bimbi dell’asilo fossero volati in cielo tra i mattoni e i palloni dell’armadio?
Tutti gli incubi di questa crisi che toglie il fiato al mondo si stanno concentrando lì, nel pantano della guerra infinita, nella guerra sporca della propaganda che volta le carte in tavola, che cerca il pretesto e sbologna le responsabilità. Chiunque abbia letto i resoconti dell’Osce, che da anni monitora le inarrestabili violazioni quotidiane del cessate il fuoco senza azzardarsi ad attribuirne le responsabilità, sa che ogni giorno ci sono centinaia di esplosioni e tiri dei cecchini, contati ascoltandone lo schiocco. Ma la notte, ieri, ha segnato una svolta. Persino l’Osce ha riconosciuto l’aumento di colpi, 500 prima che s’alzasse il sole.
Poi il sole s’è alzato, e pure il polverone. Chi ha sparato? Chi è stato colpito? È successo davvero? È veramente successo oggi? Per tutto il giorno, mentre il presidente Volodimir Zelenskij volava dai soldati in trincea del Donbass e tra le vedette dei marinai nel Mar Nero, si sono rincorse le accuse reciproche. La coincidenza temporale è drammatica: il 12 febbraio l’intelligence Usa avverte che i russi sono pronti ad attaccare, e lo faranno il 16 lanciando prima un attacco ibrido e costruendo poi un falso pretesto per l’invasione in forze. Il 15 e il 16 gennaio l’Ucraina è stata schiaffeggiata da una violenta cyberguerra; ieri, di primo mattino, ecco le accuse dei filorussi: «Le truppe di Kiev hanno bombardato le linee difensive delle repubbliche del Donbass in tutte le direzioni, utilizzando missili anticarro, mortai, lanciagranate e armi leggere, e danneggiando case nel distretto Petrovsky di Donetsk», scrive la Komsomolskaya Pravda di Donetsk.
Sui social, su Telegram, nei giornali online pubblicati dai due lati delle barricate, tutto è messo in discussione, nulla è certificabile. Persino l’attacco ai bimbi della scuola finisce nel calderone. La zona è sulla linea del confine: chi ha sparato? Ma pian piano emergono i dettagli, le colpe gocciolano dall’ipocrisia di entrambe le linee del fronte. Ecco Svetlana con la testa fasciata, le bende insanguinate: «Ero a Staromikhaylovka», nella Donetsk occupata, «stavo tornando dal lavoro, ho sentito un’esplosione e sono svenuta. Mi hanno svegliata qui in ospedale». Chissà come si chiama il «civile» ferito in via Kashtanova 3 a Marinka, nella Donetsk controllata dalle forze ucraine: sono piovuti dal cielo «2 colpi da 82 millimetri, 5 Rpg, 25 Vkk e 50 Nw», qualunque cosa siano.
Si spara. Non si è ucciso, è andata bene. A Stanitsja Luganska è andata bene due volte. Un altro colpo d’artiglieria è esploso nel giardino di una scuola superiore: tutti giù nel rifugio, tutti salvi. Ieri sera, col buio, altre esplosioni. Dalla finestra di una casa esce una lama di fuoco. «Non c’era nessuno». Per quanto durerà la buona sorte? Con 40mila soldati ucraini al fronte tra Servizi, Agenzie, Guardia nazionale con gli ex volontari come la Brigata Azov, polizia di frontiera, e dall’altra parte i soldati russi senza mostrine, i mercenari, i miliziani raccattati per strada nel 2014 tra chi voleva menar le mani e ricavarci uno stipendio. Lì in mezzo c’è la bidella Natalia e c’è Svetlana con le bende; e i bimbi senza più asilo. Bisogna fare presto a spegnere i cerini prima che cadano accesi nel pagliaio.