La Stampa, 18 febbraio 2022
Intervista a Massimo Cacciari
«Questo sistema è morto». C’è qualcosa di irrevocabile nel modo in cui la voce del professor Massimo Cacciari sigilla le parole, sulla coda di 48 ore in cui i brandelli della credibilità politica sono sepolti prima dalla Corte Costituzionale guidata da Giuliano Amato e poi dal nervosismo insolitamente plateale di Mario Draghi.
Amato, nel corso di una sorprendente conferenza stampa, spiega promozione e bocciature dei referendum, appellandosi a un Parlamento sempre più inerme perché si sbrighi a legiferare. Draghi, il cui governo di sterminata e spappolata coalizione, va sotto quattro volte sul Milleproroghe, minaccia definitive ritorsioni nei confronti di partiti infantilmente riottosi. Tecnici che provano inutilmente a far correre i ronzini di Palazzo. “Intanto le diseguaglianze si moltiplicano e se non c’è una reazione immediata andiamo a sbattere”, dice Massimo Cacciari, che in questa intervista a La Stampa scatta l’ennesima impietosa fotografia del sempre più declinante ordine democratico liberale. Ma, soprattutto, italiano.
Professore, le decisioni della Corte Costituzionale sui referendum sono state tecniche o politiche?
«La Corte Costituzionale è un organo politico. In Italia non abbiamo poteri neutri. Parte dei membri della Consulta sono eletti dalla politica e così il Presidente della Repubblica. La nostra Costituzione non prevede poteri neutrali».
Non ha avuto l’impressione di rivivere il bis dell’elezione di Mattarella. Nei momenti decisivi la politica sparisce.
«È così. E sarebbe ora che la politica se ne accorgesse, perché questo è il tema dei temi. Ma è come se fossimo di fronte a dei malati che non si vogliono curare. Che non intendono discutere il loro male e, anzi, lo nascondono».
Morale?
«Serve un ripensamento completo dell’agire politico e un ripensamento delle istituzioni, che tenga conto della mutata situazione in cui viviamo da oltre 30 anni«.
Più facile da dire che da fare.
«Lo so, ma la questione si sta aggravando. Abbiamo una dimensione politica esclusivamente statalistica, quando il problema è quello dei grandi spazi, della contraddizione tra gli imperi, della globalizzazione tecnico-scientifica-finanziaria. È difficile ripensare una politica che rimane statale, ma se non lo facciamo in fretta della democrazia non ci resterà che un remoto ricordo».
È la fine della storia?
«No, ma il rischio è che se ne affermi un’altra in cui saremo governati da amministrazioni, non necessariamente totalitarie, centrate su competenze tecniche che si muovono in accordo con potenze economiche e finanziarie».
Sembra peggio della fine della storia. Sembra la fine tout court.
«Questo sistema è morto. E l’allargamento della forbice tra ceto politico e opinione pubblica può essere foriero di qualsiasi avventura. Non penso a sconquassi novecenteschi, ma a pesanti crisi economiche e sociali sì. Bisogna rivedere in fretto il ruolo dei partiti e la funzione del Parlamento».
A proposito di ruoli. Giuliano Amato aveva detto che sui quesiti referendari la Corte non avrebbe cercato il pelo nell’uovo: è stato di parola?
«Aspettiamo le motivazioni per dare un giudizio. Dopo di che non capisco come si possa negare la validità dei due referendum che, per me, dal punto di vista etico erano i più significativi: fine vita e cannabis. Senza i quali, per altro, è del tutto evidente che nessuno dei quesiti rimasti raggiungerà il quorum».
Fa dietrologia anche lei?
«No. Non so se la Corte abbia avuto questo retro-pensiero. Ma so che così il quorum non si raggiunge di certo».
L’ha stupita la conferenza stampa di Giuliano Amato?
«Un’innovazione positiva. Il tentativo di trasparenza, di secolarizzazione anche della Sacra Corte».
Non è che secolarizzandosi la Sacra Corte si desacralizza?
«Desacralizziamo tutto da trent’anni. I partiti sono usciti massacrati da Mani Pulite. Bene. E la magistratura è diventata sacra. Bene. Poi però anche la magistratura si è desacralizzata. E così l’esercito e i carabinieri. C’è rimasta una sola istituzione alla quale attribuiamo un po’ di sacralità per il peso dei personaggi che l’hanno interpretata: la presidenza della Repubblica».
Che cosa significa?
«Che forse abbiamo nostalgia di un re. Ma ci stiamo avvicinando visto che chi sale al Colle ci rimane 14 anni. Ci sarebbe da ridere, se non venisse da piangere. Ormai allunghiamo tutto. Pure i 5 Stelle vogliono il terzo mandato. E anche i sindaci e i presidenti di Regione: 15 anni in carica! Moltiplicheremo i De Luca in giro per il mondo».
Mattarella, Draghi, Amato. C’è un filo unico che tiene unita la loro presenza sulla scena?
«Il filo è l’impotenza di una politica terrorizzata dall’idea di andare a casa. Amato è un politico. Il suo richiamo al Parlamento era molto simile a quello di Mattarella. E persino a quello di Napolitano che in altri toni aveva detto al Parlamento le stesse cose: fate le riforme, altrimenti siete degli irresponsabili».
Riassumo grossolanamente: davanti a una banda di incapaci, comandano tre notevoli notabili onusti di gloria.
«Di fatto è la democrazia cristiana che governa tutto. Se fossero riusciti a portare anche Casini al Colle sarebbe stato il capolavoro assoluto. Solo che Salvini – se mi è concessa la licenza – lo ha fottuto».
Che cosa ci ha guadagnato?
«Che Draghi è rimasto al suo posto e che ha scongiurato il rischio del voto. Senza Mattarella, con cui, ha un patto di sangue, Draghi avrebbe fatto saltare il banco».
Per questo oggi il presidente del Consiglio è più duro con i partiti?
«Si sente semplicemente ancora più libero di agire come gli sembra giusto. Ma nei fatti non cambia niente».
Le lacerazioni del voto sul Colle si fanno sentire.
«Vero, ma nei fatti non cambia nulla. I partiti battono i pugni sul tavolo ma non vogliono andare a votare, quindi avanti così».
Tra un anno si vota. Siamo già in campagna elettorale. I vuoti d’aria sono inevitabili.
«Sarà un anno decisivo, i partiti lo devono capire in fretta. Se si arriva al voto come nel 2018, in maniera scomposta, la crisi economica e sociale è certa. Le disuguaglianze si stanno moltiplicando in modo impressionante e anche Draghi comincia a fare poco. Se non c’è una reazione immediata a questo andazzo andiamo a sbattere».
Professore, le leggo un tweet di Alessandro Gassmann: togliere il monopolio della cannabis alle mafie No. Lasciare le persone nella fase terminale della loro esistenza libere di scegliere il loro destino No. Evitare il processo a senatori indagati Sì. Votarvi No.
«Sono abbastanza d’accordo con lui. Poi bisogna fare delle distinzioni, perché siamo di fronte a temi delicatissimi».
Partiamo dalla cannabis.
«Quel no è folle. Come si fa a non capire che il proibizionismo è dannoso e alimenta la criminalità? Sulle canne, poi. Ma davvero qualcuno pensa ancora che bastino le canne perché i ragazzi diventino tossici? Ma allora impediscano anche le sigarette già che ci sono. Basterebbe avere un minimo di cultura sulla coscienza di massa».
Il fine vita?
«Quella è una storia diversa e la difficoltà del legislatore è comprensibile in un Paese dove le questioni relative al corpo e alla fine della vita sono state appannaggio della dimensione religiosa. Il diritto se ne occupa da poco».
Da poco e male, verrebbe da dire.
«Io penso che sia giunto il momento di affrontare la questione nei termini in cui la poneva il referendum: di fronte alla sofferenza, o, per dirla con Leopardi, al dolore acerbo del mio corpo, in una situazione in cui la vita è diventata un male, nessuno può ergersi a giudice entrando nell’anima di un altro. La persona ha perfettamente il diritto di togliersi la vita. Serve compassione. Unita a un altissimo silenzio».
Il presidente Amato sostiene di essersi sentito ferito da chi lo accusa di non sapere che cosa sia la sofferenza.
«Benissimo, ma se sa cos’è la sofferenza, se pensa di saperlo (perché poi ognuno soffre per conto suo), come può pensare di prendere una decisione al posto di un altro?».
Pare che siamo noi a non avere capito che il referendum non fosse sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente. Il presidente emerito Flick ha spiegato che il referendum avrebbe sdoganato i giochi suicidi su Tik Tok.
«Ma che c’entra! Un suicida si butta sotto un treno. I giochi non hanno niente a che fare col quesito. Il problema dell’eutanasia è un altro: se io sono senza speranza e soffro di dolori atroci – non solo fisici, dal mio punto di vista – perché non devo trovare la compassione dell’altro che mi aiuti a risolvere il problema anche con la morte?».
Per chi crede in Dio la vita è un dono.
«Esatto, per chi crede in Dio. Ma gli altri? C’è qualcosa di religioso nell’imporre un comportamento che deriva dalla mia fede ad altri che non credono? Una fede impositiva è il contrario della fede cristiana. Dov’è la misericordia? Se fossi il Papa combatterei contro l’imposizione di un punto di vista».
Perdoni se torno rasoterra. Per il sì a cinque referendum sulla giustizia Salvini ha esultato, Meloni ha cominciato con i distinguo. Il Pd ha glissato e Conte si è lamentato.
«Sono tutti segnali di quello che si diceva prima. La magistratura – come i partiti e il Parlamento – non è riuscita ad autoriformarsi, perdendo l’autorevolezza che aveva acquistato con tanti atti straordinari e tragici sacrifici personali. Certa destra è felice di questa delegittimazione, senza rendersi conto che il problema è di sistema e che in ogni caso finirà tutto a tarallucci e vino perché il quorum non sarà raggiunto».
Professore, ddl Zan, eutanasia, ius soli. Sui diritti individuali siamo alla preistoria.
«È così. Eppure lo Stato di Diritto è tale non perché la legge è sovrana – come è ovvio – ma perché ci sono norme che garantiscono la persona. Questi diritti, ormai, vengono messi in secondo piano in tutti i campi (compresa la salute), partendo dall’idea che tanto la legge è uguale per tutti. Sì, ma quale legge?». —