il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2022
Intervista a Fabrizio Ferracane
Scoperto da Tornatore, rivelato da Anime nere di Munzi nel 2013 e consacrato due anni fa dal Traditore di Bellocchio, Fabrizio Ferracane è l’attore del momento. Al Festival di Berlino ha portato Una femmina di Francesco Costabile e Leonora addio di Paolo Taviani, in cui ha una missione speciale: trasferire le ceneri di Luigi Pirandello da Roma alla Sicilia.
Pirandello, chi era costui?
Un uomo depresso, alla continua ricerca della serenità d’animo. Un uomo costretto, e non solo artisticamente, alla maschera nell’interazione sociale, per timore di non piacersi. Ho riletto il monologo – Paolo Stoppa lo interpretava magnificamente – della corda pazza nel Berretto a sonagli, era da anni che non lo facevo e mi mancava: mi ha fatto venire nostalgia. Quando nel film lo vediamo ritirare il Nobel e, voce di Herlitzka, confessare che “non mi sono mai sentito così solo”, ecco, ha smosso dentro un senso di solitudine anche a me. Sarà che mio padre non sta bene, che è depresso, ma quel Pirandello l’ho sentito.
Però l’abbiamo un po’ dimenticato.
È un peccato. Ha scritto cose enormi, dentro c’è tutta l’umanità, dietro la maschera c’è ogni tipo umano. Pirandello è universale.
Il viaggio delle sue ceneri è molto pirandelliano.
A cambiarne il senso, anche molto meridionale. Mi ricorda i nostri antenati in treno, i viaggi della speranza con borsa e spago. Immagini di una Sicilia, di una meridionalità vestita di nero, come ancora oggi le donne in qualche paesino. Nella mia Selinunte c’erano pescatori andati a sposare donne tedesche e poi tornati, uguale spiccicato come nel film.
Con Paolo Taviani come è andata?
L’ho vissuto come un grande nonno. Anche nei saluti, a metà tra l’abbraccio e la stretta di mano. Sì, come mio nonno, che sebbene sia mancato da anni rimane per me fondamentale: a Berlino ci sono andato col suo cappotto.
Già nelle nostre sale, Leonora addio segna la sua prima volta da protagonista.
Diciamo che sono il primo nome, dopo la dedica di Paolo al fratello scomparso Vittorio. Quando ho visto il film a casa con mamma e papà è stata un’emozione forte. E ancor prima quel che mi ha detto Paolo, che sono un attore straordinario, con una faccia bellissima: lo dice lui, io non posso giudicarmi. Ma, confesso, vivo per quei momenti, per quelle parole.
Eppure, ha debuttato in Malena di Tornatore nel 1999, le sono serviti vent’anni per l’affermazione con Bellocchio: problema suo o del nostro cinema?
E che ne so? (ride). Diciamo che il nostro cinema è bloccato su certe posizioni, e non le scardina: quello può fare il padre, quell’altro il figlio. Noi attori chiediamo fiducia, la possibilità di farci vedere da un regista: siamo atleti dell’anima, ma se non possiamo gareggiare…
Brutto.
Le solite facce: non si rischia, non c’è ricambio d’aria. Porca miseria, lo sa quanti attori bravi ci sono? Potrei farle un elenco di amici miei, perché non ci sono solo Kim Rossi Stuart – ha una grande credibilità, quanto mi piace guardarlo! – e Pierfrancesco (Favino, ndr), Marinelli e Borghi, ma tanti altri ugualmente bravi che non vengono scoperti. Io forse ci ho messo tanto, è vero, nondimeno mi considero un privilegiato: oggi – faccio lo sborone – so quanto valgo, quanto posso dare a un personaggio.
La mafia: Il traditore, Il capo dei capi, Squadra antimafia 2, persino School of Mafia. La ’ndrangheta: Anime nere e ora Una femmina. È l’attore della criminalità organizzata?
No, no, assolutamente (ride). Ho fatto altro, dal secondino di Ariaferma a l’Aringo de La terra dei figli, e a teatro con Rino Marino sappiamo ridere: so fare anche la commedia, mi creda.
Il suo Pippo Calò nel Traditore è spaventoso.
Cammina su una corda sottile tra l’essere ridicolo e l’essere minaccioso: è la sua ignoranza che mette paura. Fuori dall’aula avrebbe un’altra ferocia, lì è agghiacciante cantando, sbagliando un verbo. Ho visto tanti video, e ho trovato il respiro: non bisogna farsi sopraffare dalla scena, bensì governarla.
Come?
Corrompendosi. Recitare è corrompersi. Devo diventare un’altra cosa da me, deve scorrermi nelle vene il sangue di un mafioso, Fabrizio lo riprendo alla sera. Non voglio mai conservare nulla di mio sul set: dalle scarpe alla barba, serve alterità, serve straniarsi.
Modelli?
Manfredi. No so neanche cosa dire, è immenso. Guardi Brutti, sporchi e cattivi e Nino non c’è: quello è l’atto di corruzione, quella è la magia.
Ora per chi si corromperà?
Emma Dante. Sarò l’unico personaggio maschile – oltre al bambino protagonista – di Misericordia. Adatta per il cinema il suo spettacolo teatrale, una favola contemporanea sulla fragilità delle donne, la sceneggiatura è bellissima, gireremo nel Trapanese. Ci conosciamo da una vita con Emma, ma non avevamo mai lavorato insieme. Non vedo l’ora.