il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2022
Intervista a Eugenio Albamonte
I quesiti referendari promossi dalla Corte costituzionale? “La politica sta regolando i conti con la magistratura”. I discorsi del presidente della Consulta Giuliano Amato? “Sono rimasto sorpreso e preoccupato”. Eugenio Albamonte, pm a Roma, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e oggi segretario di Area, non ha dubbi sugli effetti della decisione presa due giorni fa dalla Consulta: “C’è il rischio – spiega – che questa consultazione referendaria diventi una resa dei conti della politica sulla magistratura a chiusura di una vertenza che è iniziata 30 anni fa con Mani Pulite e che ora alcune forze politiche vogliono chiudere, attraverso questa campagna referendaria, approfittando della oggettiva perdita di credibilità della magistratura dopo la vicenda Palamara”.
Tra i quesiti ammessi c’è quello sul cambio di funzioni tra giudici e pm. Cosa nasconde questo quesito?
Alcune forze politiche tentano di inserire la separazione delle carriere all’interno del tema del recupero di credibilità della magistratura o anche di quello dell’efficienza e funzionalità della giustizia. Non c’entra né con l’uno né con l’altro. È piuttosto una vecchia battaglia di una parte del mondo politico e dell’avvocatura che è evidentemente orientata a ridurre il ruolo del pm per arrivare, in prospettiva, a uno statuto differente anche in termini di garanzie e indipendenza. Il fatto che poi i passaggi da pm a giudice e viceversa si siano ridotti rende il tema sempre più politicante.
Un altro quesito ammesso dalla Consulta riguarda nuovi limiti alla detenzione preventiva. Con il solo rischio di reiterazione del reato, non si finisce in carcere. Festeggeranno i colletti bianchi, ma anche chi commette reati come i furti?
Assolutamente. Il quesito sulle misure cautelari è costruito in modo tale da rendere impossibile per un soggetto, un colletto bianco, la possibilità di finire in carcere. E ciò riguarderà sia i reati contro la pubblica amministrazione che quelli economici. Quindi mani libere a economia e politica, soprattutto in una fase in cui si aspettano i fondi del Pnrr e ci saranno grosse iniezioni di liquidità. Guarda caso il quesito arriva proprio in questo momento. Poi l’effetto perverso di questa ricerca di immunità delle “caste” dalle misure cautelari si raggiunge quando ci si rende conto che per evitare il carcere ai colletti bianchi si consente la stessa garanzia anche ad autori di reati particolarmente odiosi, come truffe, furti, alcune forme di stalking e, salvo deroghe dell’ultimo minuto, anche il traffico di materiale pedopornografico. Non è questo il modo corretto di intervenire sull’eventuale, ammesso che esista, utilizzo eccessivo delle misure cautelari.
Gli elettori saranno chiamati a votare anche sulla norma che vuole abrogare la legge Severino sull’incandidabilità e decadenza per chi ha una condanna definitiva. È un sistema di autotutela della politica?
Questo rappresenta il livello di ipocrisia più alto raggiunto con la campagna referendaria. La classe politica – che non ha il coraggio di prendere in Parlamento le decisioni necessarie per modificare la Severino – chiede agli elettori di modificarla al posto loro, dando ai cittadini responsabilità che non intendono assumersi, per questioni di immagine e di ritorno elettorale. Così torneremo ad avere nella politica locale e nazionale soggetti colpiti da sentenze anche definitive, fino ad arrivare all’assurdo per cui ottenere un seggio, che garantisce l’immunità prima dell’esecuzione della sentenza, mette al riparo dai reati commessi in precedenza.
Il presidente Amato alcuni giorni prima della decisione sui quesiti referendari ha detto: “…bisogna evitare di cercare a ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”. Poi dopo la camera di consiglio ha tenuto una conferenza stampa. Cosa pensa di questi interventi?
Sono rimasto sorpreso e preoccupato, soprattutto dalle esternazioni con le quali il presidente Amato, parlando di “pelo nell’uovo”, ha anticipato la regola di giudizio che avrebbe adottato prima ancora che si riunisse la camera di consiglio. Ma anche quando la sua comunicazione ha assunto un taglio più politico. Il rischio è di indebolire la Corte costituzionale soprattutto quando al di là della condivisibilità delle decisioni prese, l’effetto è stato quello di far passare i referendum che interessavano alla politica e bocciare quelli che invece interessavano alla società civile.