Avvenire, 18 febbraio 2022
I numeri e le strategie di Netflix, Disney e Prime
Viste con gli occhi di noi spettatori le piattaforme di streaming video come Netflix, Disney+, Amazon Prime Video e Apple Tv (per stare a quelle internazionali) sono una realtà per molti ormai imprescindibile. Un lusso, per alcuni.
Un’esigenza, per molti altri. Comunque la si pensi, non solo esistono e hanno successo ma stanno anche cambiando il modo di produrre le serie tv (e anche certi film). Secondo il «Guardian», «in soli dieci anni Netflix ha stravolto il panorama televisivo». Nel 2012 aveva 12 milioni di abbonati in pochi Paesi, oggi ne ha 214 milioni sparsi nel mondo. E le serie che produce hanno contribuito anche a cambiare il modo col quale molti guardano al mondo (e non sempre in meglio).
Secondo il rapporto di Mediobanca «Media & Entertainment», «i ricavi dei servizi in streaming sono aumentati del 25,8%». Gli abbonati alle piattaforme tv, tra il settembre 2020 e lo stesso mese del 2021, sono cresciuti del 26%. Il podio per numero di iscritti vede in prima posizione Netflix (214 milioni), seguita da Amazon Prime Video (150 milioni) e Disney+ (118 milioni). Per la società JustWatch, lo streaming in Italia vede in testa Netflix con il 28% di quote di mercato (e 4 milioni di abbonati), seguito a ruota da Amazon Prime Video (27%) e Disney+ (16%). In totale gli abbonati italiani alle piattaforme video sarebbero oltre 11 milioni.
Non tutto però è – come si dice – rose e fiori. È vero che «Bridgerton», «Money Heist», «Squid Game» e «Lucifer» di Netflix sono alcune delle serie più viste, ma un mesetto fa, per la prima volta, la società ha annunciato risultati peggiori del previsto e bruciato quasi 50 miliardi di dollari del suo valore. I concorrenti – Disney in testa – sono diventati più agguerriti e hanno ripreso i loro contenuti che avevano ceduto a Netflix e li hanno utilizzati per costruire le proprie piattaforme
di streaming.
Nella sua newsletter Mediastorm, Lelio Simi ha affrontato il «caso Netflix» (e non solo). «La corsa a incrementare continuamente la base degli abbonati – ha scritto Simi – ha sostenuto la crescita economico finanziaria di molte media company ma oggi sembra non poterlo fare più, serve un cambio di strategia». Simi cita l’analista Michael Nathanson: «Nello streaming, le aziende sono da sole. Devono continuamente offrire ai clienti un nuovo motivo per pagare ogni mese l’abbonamento e questo è sia difficile che costoso».
Si spiega così la corsa tra piattaforme ad investire sempre più in contenuti di valore. Un esempio su tutti: per «Il Signore degli Anelli» Amazon Prime Video ha speso quasi mezzo miliardo di dollari. Recenti studi però – come ha raccontato il Washington Post – hanno dimostrato che chi si abbona a una piattaforma perché attirato da un contenuto forte (o discusso) la abbandona entro tre mesi.
Netflix, per ora, ha adottato anche un’altra strategia: cercare, trovare e produrre prodotti per nicchie di pubblico che si sono dimostrate più ampie e redditizie di quanto il mondo dell’intrattenimento immaginava. E Apple TV+?
Numeri ufficiali non ci sono. Per «The Information» avrebbe circa 40 milioni di abbonati. La metà sarebbero paganti, l’altra metà nel periodo di prova gratuito. Il dato interessante è che sulla scorta di quanto investito da Apple per produrre contenuti, sarebbe la realtà streaming col maggior guadagno per utente.