ItaliaOggi, 18 febbraio 2022
Luis Borges, tuffato nella notte della cecità
Lungo il corso delle generazioni / gli uomini eressero la notte. / In principio era sonno e cecità / e spine che trafiggono il piede nudo / e paura dei lupi. / Non scopriremo mai chi forgiò la parola / per l’intervallo d’ombra / che separa i due crepuscoli; / non scopriremo mai in che secolo divenne cifra / dello spazio stellato. / Altri generarono il mito.
Ultimo libro di poesie di Borges, pubblicato nel 1979, Storia della notte «abbonda in riferimenti libreschi, come pure vi abbondò Montaigne, l’inventore dell’intimità» (persino qui, parlando di riferimenti libreschi, Borges ricorre a un riferimento libresco). Tutta l’opera di Borges «abbonda in riferimenti libreschi»: i libri sono i suoi geroglifici, e ogni suo libro è un labirinto di citazioni, orecchie nelle pagine e rimandi. Tra le poesie qui raccolte ce n’è una, Le cause, che enumera gli eventi che hanno portato le mani degli amanti a incontrarsi: la Torre di Babele, la luna contemplata dai Caldei, l’esametro e lo specchio, Chuang Tzu e la farfalla che lo sogna, la tela senza fine di Penelope, l’algebra e la scacchiera, l’ombra delle tre croci sulla terra, la giocata del baro, le sabbie innumerevoli del Gange. Tutto ciò che accade agli uomini, compreso l’amore, è un’orecchia nelle pagine di qualche libro.
«Omero non ignorava che le cose si devono dire in modo indiretto», scrive Borges, «come non lo ignoravano i suoi Greci, il cui linguaggio naturale era il mito». Libri, metafore ed elenchi sono il linguaggio naturale di Borges, che s’appella ai libri letti e lo fa enumerandoli e compilando liste perché «è possibile» (come scriveva nella sua Storia dell’eternità, Adelphi 1997) «che l’insinuazione dell’eterno – dell’immediata et lucida fruitio rerum infinitarum – sia la vera causa di quel piacere speciale che ci procurano le enumerazioni». Elenchi e metafore. Sabbia, specchi, labirinti, tigri, spade. Una di queste metafore è la notte – habitat del poeta cieco, d’Omero e di Borges. Un’altra metafora è la biblioteca.
È qui la gran memoria dei passati / secoli, sono qui gli eroi, le spade, / i simboli laconici dell’algebra, / il sapere che interroga i pianeti / padroni del destino, le virtù / delle erbe e degli avori talismanici, / il verso in cui perdura la carezza, / la scienza che decifra il solitario / labirinto di Dio, la teologia, / l’alchimia che nel fango cerca l’oro, l’idolatria e le sue figurazioni.
Anche i singoli libri, al pari delle storie evocate da Borges per spiegare l’incontro degli amanti, sono «cause», cioè metafore chiamate a illuminare il mondo. Uno di questi libri, naturalmente, è Le mille e una notte, con i suoi «mondi d’argento e mondi d’oro rosso /e l’infinita veglia delle stelle».
Shahrazad, che intrattiene il re di Persia con le sue storie per non essere uccisa (come ogni altra sposa regale) dopo una notte d’amore, non è la sola narratrice notturna di cui si tramanda la memoria nei libri e nelle storie (storie e libri di cui lei, una notte araba dopo l’altra, ha tramandato a sua volta il ricordo). Nella Nota in appendice a Storia della notte Francesco Fava cita dalle Sette notti di Borges, Feltrinelli 1993, il passo in cui il poeta argentino spiega «di dovere all’orientalista ottocentesco Joseph von Hammer-Purgstall la scoperta dell’esistenza dei confabulatores nocturni. Questi sono «uomini della notte che riferiscono racconti, uomini la cui professione è raccontare storie durante la notte». Von Hammer-Purgstall ricorda un antico testo persiano secondo il quale il primo a convocare gli uomini della notte affinché gli raccontassero le storie per distrarlo dall’insonnia fu Alessandro il Macedone».
Ma ci sono stati confabulatores nocturni anche in tempi recenti. Nella Kolyma, per esempio, dove di notte, dopo una giornata passata nelle miniere, c’erano prigionieri politici del Gulag che intrattenevano i malavitosi (per non esserne sopraffatti) raccontando trame di romanzi, un po’ come gli uomini-libro di Ray Bradbury in Fahrenheit 451 (Mondadori 2016) s’intrattengono l’uno con l’altro mentre sfuggono alla caccia degl’incendiari di libri. A raccontare questa storia è Varlam alamov nei Racconti della Kolyma: «“Comincia, Andrej, e che sia una cosa bella lunga, bada, e bella forte. Tipo Il conte di Montecristo”. “Magari I miserabili?” propone Andrej. “È quello con Jean Valjean? No, l’ho già sentito al Kosoj”. “Allora Il club dei fanti di cuori, oppure Il vampiro?”. “Ecco ecco. Vada per i fanti”».
Siamo stati tutti, una volta o l’altra, re di Persia e Shahrazad, «uomini-libro», malavitosi e deportati politici. Sappiamo, per esperienza, che la notte trabocca di storie, e che i sogni, compresi quelli lieti, sono storie da temere. Ai bambini, per farli dormire, abbiamo raccontato storie dopo avere spento le luci, e prima di questo siamo stati i bambini che s’addormentavano ascoltando storie, gli occhi «pieni di sabbia» chiusi nel buio. Guardiamo film e serial tv fino alle ore piccole, spaventati o cullati dal buio, così come ci addormentiamo leggendo – i paragrafi diventati oscuri e incomprensibili, il libro abbandonato sul cuscino. Giungle nere e misteriose, le notti sono boschi fatati in cui vagano nani, unicorni, lupi e streghe cannibali. In queste selve ci si può perdere.
Qui solo le storie raccontate nella notte, per dissiparne le ombre, funzionano da briciole di pane, o da segnalibri, e sembrano mostrare la strada del ritorno verso la luce dell’alba, che a volte appare irraggiungibile come la luna nel pozzo, o come «il leone» che «gli uomini scolpirono sulle rocce». Ma ogni notte la notte implacabilmente ritorna. Non c’è né ci sarà mai scampo dalle sue meraviglie e dai suoi terrori. Non si può leggere, dicono gli arabi, / fino alla fine il Libro delle Notti. / Le Notti sono il Tempo, che non dorme.
Come Gottfried August Bürger, poeta e pastore luterano nella Sassonia del ’700, immancabile riferimento libresco a piè di lista della poesia G.A. Bürger, anche Borges, poeta, bibliotecario e narratore tuffato nella notte della cecità Sapeva che il presente non è altro /che una fugace particella del passato /e che siamo fatti d’oblio: /sapienza tanto inutile /quanto lo sono i corollari di Spinoza /o le magie della paura.