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 2022  febbraio 17 Giovedì calendario

Intervista a una Nina Zilli romanziera


È la romanziera?
(Ride) Sì, sono io.
Ma lo ha letto? Le è piaciuto?
Molto. Ha dei dubbi?
La mia è l’incertezza dell’esordio.
(Nina Zilli per una volta esce dalla comfort zone dei suoi successi, della sua voce rara, del suo galleggiare sul palco per affrontare pagine scritte, interrogativi nuovi e nuovi confronti, per pubblicare il suo primo romanzo, “L’ultimo di sette”, in cui una storia d’amore si intreccia ai punti di vista dei suoi protagonisti e con ironia non derubrica al confronto con l’io più vero).
Ma è più emozionata per un disco o per un libro?
Devo ammettere: in quanto esordiente, sono veramente presa; quando mi è arrivato il libro, l’ho sfogliato alquanto incredula, stupefatta in primis da me stessa.
Come mai?
Perché sono una di quelle che iniziano a scrivere un romanzo e non arrivano mai alla conclusione, mentre come semplice lettrice divoro le pagine.
Ha iniziato presto?
Da bambina ho rappresentato alla perfezione lo stereotipo della nerd, della solitaria: a otto anni già andavo al Conservatorio, poi disegnavo e scrivevo.
Cosa scriveva?
Le prime canzoni, orrende, poi il diario con le amiche e infine mi venivano in mente molte storie, che però accennavo senza concluderle.
Insomma, quanti romanzi ha iniziato?
Completi, strutturati, direi tre: il primo a 18 anni…
Dov’è?
Ancora nella mia cameretta, stampato. Da allora non l’ho più riletto.
E ora come è riuscita a finire un romanzo?
L’avevo iniziato nel 2016 e lasciato lì: non avevo mai il tempo di arrivare a conclusione. Fino alla pandemia: in quel momento, come per tutti, credo, si è improvvisamente materializzato il “tempo”; così ho prima realizzato un album e poi mi sono dedicata al libro.
E lì…
Incredibile, è uscito in pochissimo tempo, come se in questi anni una parte di me, della mia testa, avesse continuato a pensarci e a declinarlo.
La parte più difficile.
La rilettura delle bozze: dover capire, a mente fredda, il vero sapore.
Mentre scriveva cosa temeva?
Innanzitutto il mio giudizio; poi pensavo spesso alla frase di Caparezza riguardo alla musica: “Se va bene il primo disco, il secondo è sempre quello più difficile”.
Quindi?
Scrivendo mi sono sentita molto libera, ho rimandato i problemi all’eventuale secondo romanzo.
Per tradizione il primo è sempre molto autobiografico…
Ah sì? In un certo senso anche per me, infatti per scelta non ho affrontato argomenti che non conoscevo, come la fantascienza; mi sono limitata a campi per me assolutamente chiari come la musica e le relazioni umane, mi sono divertita a ricostruire dinamiche vissute in prima persona.
Uno dei temi del libro è la dipendenza…
È vero, dipendenza emotiva, oppure da una sostanza o dalla routine.
Da cosa è dipendente?
Eh, l’elenco è lungo. Sicuramente, la musica: da bambina ho passato infinite ore al pianoforte; mi piazzavo lì e non pensavo ad altro.
Due dei protagonisti si chiamano Anna e Marco.
Lucio Dalla è uno dei miei più grandi amori, un amore che mi accompagna da sempre e Anna è anche il nome di mia nonna, un nome palindromo, perfetto; (sorride) nel libro ho inserito un dialogo-monito: “Anna e Marco come il brano di Dalla. Non lo conosci? Iniziamo male”.
Meglio vincere un premio Strega o Sanremo?
Vuole farmi svenire.
Per carità.
Troppo difficile.
Cerchiamo una risposta.
Allora: magari, a prescindere.
Il suo romanzo di formazione?
La vita è altrove di Kundera e Mucho Mojo di Lansdale.
Sta pensando al prossimo libro?
Per una serie di coincidenze, sì. Ma non so se ci riuscirò.