Corriere della Sera, 17 febbraio 2022
Taiwan, modello di libertà
Chi ha detto che i cinesi non possono apprezzare la democrazia, quasi fosse una questione di Dna? E che credono poco nella libertà di mercato, vista anche la stretta crescente delle autorità di Pechino sull’economia nazionale? Nei giorni scorsi sono stati pubblicati due studi che mettono in discussione questi assunti, spesso diffusi. Il primo lavoro è della Economist Intelligence Unit, la quale ha calcolato un indice della democrazia per il 2021 valutando 60 fattori, dalla correttezza delle elezioni alle libertà civili. Al primo posto è risultata la Norvegia, con 9,75 punti su dieci. Seguita dalla Nuova Zelanda e poi da cinque Paesi del Nord Europa. All’ottavo posto, la sorpresa: è occupato da Taiwan, con un punteggio di 8,99, piuttosto straordinario se si pensa che le prime riforme democratiche nell’isola risalgono a solo gli Anni Ottanta del secolo scorso. Per fare un confronto: l’Italia è in posizione 31 con 7,68 punti, gli Stati Uniti sono al posto 26 con un punteggio di 7,85. Taiwan ha una popolazione multietnica ma più del 95% delle famiglie ha origini Han, come il 92% dei cinesi della Cina di Pechino. Il secondo studio è stato realizzato dalla Heritage Foundation, la quale ha creato un indice della libertà economica che tiene conto dell’apertura del mercato, dei diritti di proprietà, della tassazione, della certezza del diritto e molto altro. In questa classifica, Taiwan siede al posto numero sei, dietro a Singapore (prima), Svizzera, Irlanda, Nuova Zelanda, Lussemburgo. Sempre per avere un riferimento, l’Italia è in posizione 57, la Francia 52, la Germania 16, gli Usa 25. La Heritage Foundation mette Taiwan nella categoria delle economie «libere», Italia e Francia nelle «moderatamente libere» e Germania e Stati Uniti tra le «per lo più libere». A conferma che tra i cinesi e le libertà non c’è un’incompatibilità «naturale» c’è anche il caso di Hong Kong, fino a un paio d’anni fa certa dei suoi media liberi, dei tribunali indipendenti e di un’apertura economica invidiabile. Ora, dopo la repressione nella ex colonia britannica a opera di Pechino, resta Taiwan a testimoniare che non è l’essere cinesi o avere valori asiatici a impedire la democrazia e la libertà di mercato. Forse anche questo è un motivo, piccolo ma non insignificante, che spinge Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese a volere chiudere l’esistenza autonoma di Taiwan.