Corriere della Sera, 17 febbraio 2022
Il caso Venezia e i processi impossibili
Appena uno sente «carenze di organico nei tribunali», tendenzialmente mette mano alla pistola per quante volte la doglianza sia stata usata come alibi. Ma l’inflazione di un argomento abusato finisce per anestetizzare le situazioni dove le carenze paralizzano sul serio gli uffici e trasformano i residenti in cittadini di serie B, meno garantiti sia come vittime di reati sia come indagati sia come operatori economici. Così non fa notizia, fuori dalle calli lagunari, il fatto che a Venezia (non nella Gela proverbiale anni fa) ci siano appena 3 giudici delle indagini preliminari a far fronte alle centinaia di richieste prodotte da una Procura di 26 pm: al punto che il presidente dell’ufficio gip per 48 ore ha persino adottato un provocatorio provvedimento con cui sospendeva le ulteriori assegnazioni di misure cautelari, un po’ come se avesse esposto il cartello «qui non si fanno più arresti, ripassare un’altra volta». Per sopravvivere ora si applica un giudice, si fanno venire tre giorni a settimane due toghe da Padova e Rovigo, si spostano per un po’ un giudice dal civile e uno dal Riesame, così scoprendo a loro volta la coperta già qui talmente corta da non riuscire a garantire a momenti neanche un collegio per il Riesame delle misure cautelari del distretto. Del resto in tutto il Tribunale, se ai 17 posti vuoti si sommano normali maternità o problemi di salute, manca il 30% dei magistrati, e il 40% dei cancellieri: nel più importante tribunale del Nord Est, terzo in Italia in materia di impresa, quinto nell’immigrazione. Caos così «insostenibile» da essere «denunciato» con voce congiunta da avvocati, magistrati e imprenditori «per esigere da tutti i responsabili, politici ed amministrativi, soluzioni straordinarie». Perché gli anniversari del passato (Mani pulite) e gli auspici sul futuro (il Pnrr) sono sempre interessanti per la giustizia: ma solo se il presente ignorato non la strangola prima.