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 2022  febbraio 17 Giovedì calendario

Dove sono i pacifisti?

Ma dove sono finiti i pacifisti, i fustigatori, sacrosanti, delle fandonie di politici e stati maggiori (e non si può dire che nel caso Ucraina siano mancate, anzi), le grida e i furori e le elevazioni giustamente evangeliche di quelli che proclamavano all’infinito che la pace è bene e la guerra è male, così il problema è risolto ancor prima di porlo? Che il puro impiego della forza non dà né vincitori né vinti. Spariti, liquefatti, scomparsi, impalpabili questi Ingenui, meravigliosi e indispensabili.
Eppure nel congelato scacchiere del Donbass si affrontano e minacciano non i soliti trabiccoli meccanici e tecnologici delle piccole guerre, che pure bastano a ben pianificate apocalissi. Sono in campo, abbaianti, i due maggiori detentori della Bomba e dei missili che la trasportano, i due fuoriclasse dell’arte di annientare, Stati Uniti e Russia. Insomma: una svista, un provocatore di malevolo ingegno, una smemoratezza per vedere nel centro dell’Europa i mille soli della ultima alba nucleare e palpare l’Assoluto. Fantascienza? D’accordo: ma non sottovalutiamo che per un’ecatombe bastano anche mezzi più banali. Il machete recentemente ha dimostrato di essere sufficiente per battere tutti i record di genocidio. Insomma tra il migliore dei mondi possibili, il nostro, e il cimitero corre solo lo spazio che divide una terra innevata e congelata.
Eppure: niente, silenzio, strade vuote, slogan e marce virtuose neppure abbozzate in qualche vicolo. Una possibile Hiroshima due evidentemente non interessa, la controprova che nel 2021 la coesistenza pacifica è a pezzettini non basta a smuovere, se non le coscienze, almeno la paura. Li ricordate i cortei infervorati e oceanici contro la guerra che è sempre e comunque un errore? Gli studenti che marciavano per la pace con gli slogan ritmati le canzoni gli striscioni immaginifici e irriverenti contro i politicanti ottusi e irresponsabili? Qualche corteo di giovani in questi giorni si è dipanato, per un attimo ci siamo illusi. Ma erano contro la seconda materia scritta agli esami di maturità. Ucraina? Noi non abbiamo visto niente noi non c’entriamo per niente.
E le veglie di preghiera per la pace, le sere delle parrocchie di paese e delle cattedrali illuminate dalle candele, San Francesco La Pira la pacem in terris eccetera eccetera? Qualche parola del Papa, una iniziativa di Sant’Egidio: bene ma pochino, una volta si sarebbe detto il minimo sindacale. Ci vuol ben altro per chi ha proclamato santamente che la guerra è fuori dalla morale.
E gli intellettuali, gli scrittori, i poeti? I manifesti contro la guerra con le firme talmente fitte che diventavano lenzuolo terapeutico: per la ragione, il diritto contro la follia dei litigiosi, degli attaccabrighe intossicati da vecchi veleni nazionalismi imperialismo? Neanche una firma, eppure c’era tempo, i giochi di guerra durano da settimane. Non uno di costoro che ponesse domande socratiche e inaggirabili: tu che cosa hai da difendere? E tu cosa pretendi? Cosa c’è di non negoziabile che vale più di una vita? Compito esaltante degli intellettuali non è forse estrarre da ogni cosa il suo valore? E che cosa lo impone più del rischio di una guerra?
Gli artisti, poi che delusione! Attori, registi, il pop e il rock in servizio permanente effettivo per tutte le Buone Cause, carestie, violazioni di diritti delle minoranze, le differenze calpestate, i bambini soldato, le donne afghane, il pianeta ucciso e derelitto da avidità e riscaldamenti? Non si è visto nessuno. Una canzone un remake anni Sessanta... Nemmeno a Sanremo, assurto a ricapitolazione kantiana di tutto il Bene della terra, uno spazietto per deprecare la possibile guerra ucraina.
Un influencer pacifista: ecco, confessiamolo, ci abbiamo sperato. Con i milioni di contatti avrebbe allestito, in un attimo, un movimento per la distensione che nemmeno partiti sindacati perfino Martin Luther King e Madre Teresa di Calcutta... Distratti, fuori sede, assenti. Silenti anche i politici italiani dal fiuto fine, quelli che sanno che una dichiarazione responsabile, invitare «quelli che decidono» ad abbassare i toni bellicosi, vale un titolo di giornale e fa curriculum. Uno, uno solo che gridasse: viva la pace. Semmai si registrano quelli che spaziando in voli geopolitici e spiegando questo e quello dell’ex impero sovietico come se amministrassero loro Karchov o Sebastopoli suggeriscono un mediocre paralogismo compensatorio: lasciateci in pace.
Non hanno nemmeno giocato, e questo sorprende ancor più, il nostro vecchio gioco italiano, quello della «politica interna mondiale» per cui ogni crisi planetaria diventa un pretesto per perdersi in conti da azzeccagarbugli nostrani. Tutti hanno tergiversato. Come se la guerra alla pandemia (audace metafora che ci ha imbottito i cervelli da due anni) impedisse di vedere altri guai e tragedie. E no! Scusate una guerra per volta ci basta, non possiamo accollarci anche il problema delle frontiere della Nato e dove vuole andare l’Ucraina. Marce tafferugli guerriglia urbana da Parigi a Catanzaro ci sono stati ma non erano pacifisti esasperati, erano gli ottusi stregoni del no vax, gli unici ormai in Europa a saper montare un corteo.
Mettono nostalgia i pacefondai degli euromissili e, per venire a tempi più recenti, della guerra irachena. Adesso si preferisce di fronte al pericolo chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie, trattenere il respiro, far finta di niente: tutto finirà bene… tanto sono solo animazioni per controllare le reazioni dell’avversario… quelli giocano a risiko... e avanti con i racconti delle fate geopolitiche e le profezie degli analisti Nostradamus: Putin ha paura e cerca un modo di scamparla... Biden era già vecchio ai tempi di Breznev, sa che con i missili bisogna non farsi male perché non c’è rimedio.
Con un po’ di malizia si potrebbe dire che hanno dichiarato forfait nel frattempo gli annunciatori di apocalissi, gli ayatollah della pace che scendevano in strada soprattutto se aggressioni e missili capaci di lanciare megatoni all’ingrosso si potevano metter sul conto del «grande satana americano», gli altri erano «difensivi» e «rivoluzionari». Si viveva insomma con una morale di rendita: «Usa go home». Dopo Bush, mettendo Trump tra parentesi, a Washington son tutti buoni. Con la fine della Guerra fredda anche la pace sembra diventata una causa scaduta come uno yogurt. E a quelli che un tempo contro-gridavano che l’orso sovietico voleva inghiottire il mondo, beh quelli trovano affascinante il sogghigno enigmatico di Putin.