La Stampa, 17 febbraio 2022
La modella di Victoria’s Secret con la sindrome di Down
Cenerentola 3.0. Si chiama Sofia Jirau, è portoricana, ha 25 anni, e fin da piccola ha avuto un desiderio: fare la modella sulla passerella dove sfilano le top più belle al mondo, quella di Victoria’s Secret. E ce l’ha fatta nonostante in molti pensassero che sarebbe stato impossibile per una ragazza che come lei ha la sindrome di Down. E invece: «Un tempo l’ho sognato, ci ho lavorato, oggi quel sogno si avvera».
Una prima volta per lei, ma anche per il marchio di intimo più famoso al mondo che da qualche anno sta tornando sui propri passi. Accusato nel 2015 di essere il brand meno inclusivo del globo (con la rivolta delle modelle curvy e il loro motto «I’m no angel» per ribellarsi al corpo perfetto), ha iniziato a fare dei piccoli passi verso una estetica reale, che non portasse le donne a colpevolizzarsi rispetto a un modello impossibile da raggiungere. Iniziando ad allargare la presenza in pedana di tutte le etnie, ad accogliere modelle curvy, ad evitare di fare show basati sull’appropriazione culturale (soprattutto quella dei nativi americani). Fino ad oggi non solo con l’arrivo di Sofia tra gli «angeli» ma anche con una campagna per San Valentino di cui è stata protagonista la super top Bella Hadid senza trucco e senza inganno, ossia senza photoshop, portavoce di una ritrovata self confidence femminile. Insieme a lei altre modelle orgogliose della propria unicità (che è poi il sinonimo contemporaneo di imperfezione).
Sofia la resiliente, scelta come testimonial della campagna Love Cloud, insieme a 18 donne – tra cui Devyn García, Adut Akech, Paloma Elsesser, Sabina Karlsson – che vogliono essere la svolta nell’immaginario del brand. «Love Cloud segna una tappa cruciale nell’evoluzione del brand» ha dichiarato Raúl Martinez, direttore creativo.
Spirito inclusivo che ha reso possibile il sogno di Sofia e che aiuterà altre ragazze a trovare coraggio, ma anche l’orgoglio di essere se stesse, senza che ci sia qualcuno che le faccia sentire sbagliate. La strada è ancora lunga ma si vede una luce. E il mondo della moda, colpevole di aver cavalcato un’immagine femminile tossica, adesso cambia strada, per etica o per business poco importa, spinto da un nuovo mondo dove la rete impone tante bellezze diverse ribellandosi al modello unico.
Il motto di Sofia è «no limits» e chissà dove arriverà questa venticinquenne che avverte: «questo è solo l’inizio». Da quando è riuscita a salire sulle passerelle della settimana della Moda di New York, nel 2020, sfilando per la stilista portoricana Marisa Santiago non si è più fermata. «Un giorno mi sono guardata allo specchio e mi sono detta “farò la modella e andrò a New York” e, guardate, sono qui» scrisse allora in un post.
«Ora voglio lavorare in tutto il mondo. Sono nata per questo e voglio mostrare al mondo che ho tutto ciò di cui una modella ha bisogno per brillare».
Prossima tappa l’Europa, Parigi, Londra, Milano. Nel frattempo ha anche fondato un marchio che produce accessori e oggetti per la casa: «Alavett». «È una parola inventata, un “grido di gioia” ha raccontato, ovvero la trascrizione di come io dico I love it».
Ad aiutarla la sua grande famiglia (è la seconda di quattro figli) a iniziare dalla mamma Mimi Gonzales che la ha sempre lasciata libera di inseguire i suoi obiettivi, insegnandole che poteva essere quello che voleva e che una fragilità può trasformarsi in forza. E Sofia oggi ricambia con il mondo l’amore ricevuto: «Voglio mostrare alle persone che non ci sono limiti e ispirarle a lottare per i propri sogni. Motivarle a spezzare le catene che si autoimpongono».
La «scelta di Sofia» spinge in alto l’asticella inclusiva che si sono imposti i brand della moda. Accelera un processo che per troppo tempo è sembrato solo di facciata, una spolverata sulle solite logiche. Ovviamente ogni brand ha il diritto di promuovere il proprio ideale estetico, la propria immagine. Ma deve tenere conto di istanze etiche oltre che estetiche. E di un mondo sempre più diverso.