La Stampa, 17 febbraio 2022
Il violino di Antonella
All’inizio, quando era una bambina, la musica era il suo rifugio. Antonella Salas Nuñez Vela tornava a casa da scuola, impugnava il violino e dava vita a un mondo parallelo: «Tra i banchi vivevo episodi di bullismo per le mie origini boliviane – ricorda –. Ma appena suonavo le prime note, tutto intorno a me svaniva. All’improvviso il cielo diventava limpido». Ora che ha 14 anni la musica è diventata la sua vita: «È la prima cosa a cui penso quando mi sveglio. Spesso alle 6 di mattina, prima di andare a scuola, sento il bisogno di suonare». Da un paio di anni si esercita cinque ore al giorno, week end inclusi. Adesso si prepara al grande salto, dopo aver bruciato le tappe: a settembre si iscriverà al primo anno del corso accademico al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Inizierà un percorso universitario dribblando le scuole superiori: praticamente prenderà una laurea triennale senza aver ottenuto un diploma. Un evento più unico che raro. «Antonella ha un talento fuori dal normale. Gli alunni come lei sono il 5%, forse meno», dice il suo professore di violino Giacomo Agazzini.
La scintilla per la musica è arrivata quasi per caso, inciampando in un video su YouTube. «C’era la violinista Hilary Hahn che suonava la Zingaresca di Pablo de Sarasate: mi sono innamorata all’istante – racconta –. Davanti allo schermo del pc ho detto: “Io voglio diventare così"». Osservando il pentagramma, che non era in grado di decifrare, sentiva un’attrazione difficile da spiegare. Papà Huascar e mamma Clelia, arrivati in Italia dalla Bolivia nel 2004, non sospettavano che Antonella avesse un dono, anche perché in famiglia non c’era tradizione musicale. Poi hanno iscritto la figlia ai primi corsi e la magia non è tardata a emergere. «La maestra ci diede un libro con dieci brani, dicendo ad Antonella di sceglierne uno – ricorda la mamma –. Dopo poche ore li eseguiva tutti a memoria». Gli insegnanti capirono quasi subito che quella ragazzina aveva l’orecchio assoluto, ossia la capacità di identificare la frequenza delle note senza l’aiuto di un suono di riferimento. Un dono per pochi. A 12 anni, poi, è entrata nella sezione talenti precoci del Conservatorio Giuseppe Verdi con il punteggio più alto. Per dedicarsi completamente al violino ha abbandonato a malincuore un’altra passione, la ginnastica artistica.
Quando parla della musica i suoi occhi, lievemente a mandorla, si illuminano. Li socchiude, invece, mentre esegue il suo cavallo di battaglia, il concerto K128 di Mozart. Anche se si trova nella cameretta che condivide con il fratello Huascar Henrry, il trasporto con cui suona la proietta sul palco di un importante teatro: «La sua capacità espressiva è superiore alla sua età. Nelle esecuzioni ha una personalità e un’eleganza uniche. La definirei quasi nobiltà», il giudizio del professor Agazzini. Antonella non si limita a suonare le note, interpreta con passione: «Prima di suonare un brano dipingo una scena nella mia mente, come se fosse un film, poi la rappresento suonando», spiega.
Nel piccolo giardino di casa, tra i palazzi di Borgo San Paolo, quartiere di Torino Ovest, ha trascorso il primo lockdown aggrappandosi al suo violino. «Suonavo anche quando faceva molto freddo, era la mia reazione al periodo di isolamento», racconta. I mesi neri della pandemia si sono trasformati in una fase di grande creatività: «In quei giorni ho fatto un salto di qualità incredibile nella tecnica». I vicini non sempre apprezzavano: «Una volta dal balcone sopra mi hanno tirato alcune patate», sorride.
Quando non è impegnata negli esercizi di violino, Antonella torna un’adolescente qualsiasi: ascolta trap e reggaeton, con qualche incursione nella musica tradizionale boliviana. La pagella a scuola è buona («mi piace latino, non riesco a digerire la matematica») e ha molto a cuore i temi ambientali. È nata a Torino, ma la cittadinanza italiana la otterrà solo a 18 anni. Oggi, per realizzare il suo sogno nel cassetto, dovrebbe chiedere un visto: «Vorrei entrare a far parte della Filarmonica di New York, ma so che ho ancora molta strada da percorrere».
Alla vigilia di ogni concerto ascolta in cuffia il suono del metronomo impostato sulla velocità del brano che dovrà eseguire: «Mi addormento così». Al risveglio cerca con lo sguardo il violino, il suo rifugio, la sua vita.