la Repubblica, 17 febbraio 2022
Elena Stancanelli ha scritto un libro su Raul Gardini
Non era il “Contadino”, come lo chiamavano con una vena di disprezzo i suoi rivali, ma il “Tuffatore”. Elena Stancanelli ha trovato la sintesi perfetta per la parabola di Raul Gardini, il capitano d’impresa più audace e determinato della storia recente: così deciso da farla finita pur di non piegarsi alla gogna di Tangentopoli. Difficile misurarsi con una figura così complessa e superare la damnatio memoriae che l’accompagna dal 1993: Stancanelli l’affronta partendo da una angolatura sorprendente – Gardini che licenzia il padre di Fabrizio De André, amministratore delegato di Eridania – per introdurre una sorta di vita parallela tra l’imprenditore e il cantautore, uniti da tante somiglianze e dal fatto che Mauro De André, fratello di Fabrizio, è stato al fianco di Gardini in tutte le operazioni che hanno animato la finanza degli anni Ottanta. Non a caso, all’inizio aveva pensato di intitolare il libro A cosa servono i ricchi. Il “Tuffatore” lo spiegò in un’intervista a Sergio Zavoli: «Sono convinto che più una società cresce, e più sviluppa il perseguimento della ricchezza. Certo, non dovrà essere appannaggio di pochi. Altrimenti non è ricchezza, ma privilegio. La ricchezza, intesa come benessere diffuso, può diventare una condizione sociale. Il privilegio, invece, ha per destino di restare una sorta di ruberia ». Ricchezza e privilegio vengono raccontati dall’ottica di Ravenna: città dell’autrice, provincia laboriosa dove il patriarca Serafino Ferruzzi costruì nel silenzio un impero di grano, cemento e chimica e che poi il genero eletto a erede Raul Gardini rese di nuovo capitale dell’Occidente, inserendosi nelle partite chiave del potere economico. Stancanelli le ripercorre tutte, ritraendone i protagonisti da Gianni Agnelli a Enrico Cuccia, da Mario Schimberni a Cesare Romiti, da Carlo De Benedetti a Silvio Berlusconi. Fino a Enimont, il sogno di un’industria innovativa che mettesse insieme pubblico e privato per contare nel mondo, diventato invece l’epilogo nefasto di una stagione con troppo oro e poca lungimiranza. Gardini era differente: «Apparteneva ancora a un tempo nel quale l’essere umano, e in particolare l’uomo, era il centro di qualcosa. A Gardini sembrava possibile che il denaro, il potere, l’imprenditoria, il commercio e la produzione in generale fossero a disposizione per migliorare la nostra vita. Il progresso era una cornucopia stracolma di doni. Come un bambino che smonti e rimonti qualsiasi cosa gli venga data in mano per riuscire a ottenere un risultato migliore, Gardini pensava che ogni struttura, modalità o parametro potesse essere forzato. Che si potesse fare meglio, andare più dritti e veloci verso la risoluzione del problema, qualsiasi problema. Se tutti facevano in un modo, lui avrebbe provato a fare in un altro. Rischiando, sempre. Ma Gardini era anche un giocatore. Il poker, la caccia, la barca, il gioco della Borsa. E il suo gioco preferito era salvare il mondo». Una visione d’altri tempi. «Era appassionato di futuro, ma aveva strumenti tradizionali, novecenteschi. Era un adulto che sognava da ragazzino, era un maschio, ma quella mascolinità decisionista e potente che aveva ereditato non funzionava più, stava perdendo fascino, era stata ridicolizzata. Oltre lo scandalo, le inchieste, il fallimento, oltre l’impossibilità di affrontare il carcere, forse la sua solitudine, la notte prima del suicidio, era anche quella di un uomo che intorno a sé non vedeva più niente che gli somigliasse. Visionario abbastanza da capire che non era solo la fine per lui, ma per quelli come lui».
Il tuffatore è un mosaico narrativo, bello e profondo, in cui ricordi personali, interviste, citazioni e sensazioni forgiano il disegno di un’Italia che non esiste più, seguendo tanti piani diversi, come la riflessione sul maschio e quella sul gioco. In epigrafe c’è una frase di Jack London, una tessera importante del mosaico. «Il libro preferito di Gardini era Il richiamo della foresta. Il mondo di Jack London è un mondo di regole. Chi le infrange muore. La prima regola è il denaro. Nato poverissimo, London guadagnò molti soldi grazie al successo dei suoi libri e alle loro trionfali letture pubbliche. Si fece costruire una barca con cui avrebbe voluto fare il giro del mondo, come Gardini. Nel 1916 Jack London muore. Forse suicida, forse di sifilide, a soli quarant’anni. Martin Eden, il suo doppio letterario, al colmo del successo si butta in mare. E contro l’istinto che vorrebbe riportarlo a galla, nuota verso il fondo con braccia e gambe finché non ce la fanno più, “finché ogni volontà cedette e l’aria gli uscì dai polmoni con la forza di una grande esplosione” ».