la Repubblica, 17 febbraio 2022
Che incubo la madre perfetta
Era stata “one really bad day”, una gran brutta giornata. Quello che Frida non sapeva, però, è che era ancora la sua giornata migliore, rispetto all’incubo che si sarebbero rivelati i mesi successivi della sua vita.
Attenzione: se non siete sicuri di essere genitori perfetti non leggete questo libro, né questo articolo. Perché bastano due ore e mezza, in The School for Good Mothers di Jessamine Chan (Simon & Schuster, in Italia uscirà da Mondadori), per entrare in un tunnel d’angoscia. Le due ore e mezza in cui Frida Liu, madre single 39enne di una bimba di 18 mesi, lascia da sola a casa la piccola Harriet. Ha dormito poco, come accade alle madri, è in ritardo col lavoro: decide di fare un salto in ufficio a prendere un documento mentre la piccola dorme, ma si attarda a guardare le mail, si concede un caffè. Non si accorge del tempo che passa. Quando rientra, la bambina non c’è più. La vita stessa di Frida non c’è più. Perché «We have your daughter», Abbiamo noi tua figlia, le dicono prima alla polizia, poi gli incaricati dei Child Protection Services.
Jessamine Chan è al romanzo d’esordio, ma sa maneggiare materiale incandescente come la nuova mistica della maternità che sta soffocando le donne: «the American Mommysphere», la chiama uno dei recensori, ma ne sappiamo parecchio anche in Europa.
The School for Good Mothers ha buone probabilità di diventare un titolo di riferimento della più nobile narrativa distopica femminista. Di sicuro giocherà a favore il fatto che l’attrice e produttrice Jessica Chastain abbia acquisito i diritti del libro per trarne una serie tv con la sua Freckle Films. Molta stampa Usa ha accostato Chan a Margaret Atwood per Il racconto dell’Ancella e I Testamenti, e a Kazuo Ishiguro per Non lasciarmi, sicuramente esagerando. Però sia Atwood che Chan immaginano un mondo cupissimo in cui le donne vengono separate a forza dai figli. Chan costringe a riflettere su quale feroce controllo può esercitare la società sulle madri – oggi, e ancor più nel futuro prossimo immaginato nel libro. Sul livello altissimo di aspettative nei loro confronti. Sul fatto che nessun errore gli viene perdonato. Frida sbaglia, la figlia è affidata al padre da cui è separata, entra in funzione un implacabile sistema di controllo sociale che naturalmente deciderà per il peggio. Prima le installa telecamere in casa per spiarne ogni gesto, poi la manda in un campo di rieducazione per madri (ce n’è anche per padri, con regole meno dure) dove tutte, per riconquistare i diritti genitoriali, dovranno accudire per un anno bambini-robot. La sua si chiama Emmanuelle. Emmanuelle e gli altri baby-bot, grazie a un software, sanno leggere nei cuori e nelle menti rabbiose delle madri adottive. Tutto è fatto per renderle rabbiose: nel rehab devono presentarsi come in un circolo di Alcolisti Anonimi, nome e capo d’accusa: «Frida. Negligenza e abbandono». Ogni giorno ripetere «Sono una cattiva madre, ma sto imparando a essere buona».
Chi giudica se sono buone madri? Spesso, altre donne. L’assistente sociale, impeccabile e gelida come la Moglie del Comandante, Serena Joy, nel Racconto dell’Ancella. La nuova compagna di suo marito, la perfetta Susanna che insegna pilates, che alla bimba non dà mai “emotional eating” (cioè un gelato), che suggerisce pannolini di stoffa e non usa-e-getta, prepara crumble di mela gluten free e animal-cruelty free. L’unica crudeltà ammessa (incoraggiata?) è quella contro le madri. Queste donne che si sforzano di amare i loro baby-bot, ma un abbraccio troppo lungo può essere «intrusività fisica». Una carezza, «falsa tenerezza». Una coccola, «abuso emotivo». Un bacio? Solo su guance e fronte, sulle labbra è «troppo europeo». Intrappolate in una prigione circondata da filo spinato elettrico, in un contesto che cerca solo di farle sbagliare, quante chance hanno di farcela?
Il tema, di fondo, è cosa sia una donna perfetta. The School for Good Mothers potrà ricordarvi La fabbrica delle mogli che Ira Levin scrisse nel ’72 e diventò un film con Nicole Kidman, La donna perfetta appunto. È un libro che alle nuove o future giovani madri potrebbe far bene leggere. Le ragazze oggi pensano di vivere in una società gender fluid, in cui le differenze tra sessi sembrano quasi evaporate. Poi diventano madri e per molte si spalanca un ritorno al passato totalmente imprevisto. A una maternità che ne divora l’essere, più simile a quella delle loro nonne che delle madri: perché queste signore liquidate con sufficienza («Ok boomer!» e ti seppelliscono) si erano scrollate in parte di dosso il giogo della maternità, avevano osato pensare che non fosse un destino già scritto. Alle Millennial, come la protagonista Frida, nel libro si rimprovera in fondo di essersi concepite come “anche” madri, invece che madri e basta. Jessamine Chan dà voce alla rabbia di molte, con questo libro potente. Che nas