Avvenire, 17 febbraio 2022
La lezione di giornalismo di Giuseppe Costa
Il salesiano Giuseppe Costa ha raccolto una selezione di articoli scritti in quarant’anni di attività giornalistica in Girovagando tra cronache ed eventi, appena pubblicato da Nemapress, la casa editrice fondata da Neria De Giovanni (pagine 305, euro 22). Sono reportage, analisi, inchieste e interviste pubblicate soprattutto su ’Avvenire’ e ’Osservatore Romano’, in anni in cui il giornalismo viveva probabilmente tempi migliori. «È un testo pensato soprattutto per i giovani aspiranti giornalisti, ai quali bisogna dire che il giornalista di ogni giorno non è l’uomo dello spettacolo e dell’immagine, ma quello di una professione da costruire con buoni studi e altrettanta pratica» spiega Costa, che oggi è co-portavoce della Congregazione dei Salesiani dopo avere diretto il Bollettino Salesiano, la Sei-Società editrice internazionale, la Libreria editrice vaticana, e insegnato giornalismo alla Pontificia Università salesiana, alla Lumsa e alla Luiss.
Già in articoli di vent’anni fa emerge il problema di un giornalismo sempre più dedicato all’intrattenimento e meno all’informazione. È una tendenza che è peggiorata in questi anni?
Purtroppo sì, è evidente. C’è stata, non solo in Italia, questa volontà di rendere il giornalismo allettante, più gradito alle orecchie del pubblico. Questa ricerca di accontentare gli ascoltatori non ha portato successo né economico né di diffusione, mentre, salvo esempi positivi soprattutto nel mondo cattolico, ha ridotto l’attenzione per quello che accade attorno e penalizzato la ricerca della verità e la verifica delle fonti, che invece sono le basi di questo mestiere. È quello che ha ricordato anche il Papa nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: serve un giornalismo capace di ascoltare, attento alla cosa pubblica e alla verità. Serve un ritorno alle origini.
Questo decadimento è figlio della crisi economica del settore?
Uno degli articoli della raccolta è dedicato alla “solitudine del giornalista”. La concentrazione delle proprietà editoriali e la riduzione dei posti
di lavoro hanno reso sempre più difficile per i giornalisti potersi muovere in libertà, secondo coscienza. Sono visibili i risultati di questa situazione: dalle fake news alla cattiva informazione dilagante.
Come se ne esce?
Non abbiamo ricette facili. Sicuramente per iniziare bisogna fare capire anche al pubblico che non tutto è giornalismo. Fare il giornalista implica impegni precisi, una visione di servizio alla società, una ricerca e attenzione al quadro democratico, caratteristiche che non si adattano a figure come gli influencer o gli showman televisivi. Se non si riesce a fare capire questa differenza, difficilmente può rigenerarsi l’informazione di qualità.
Che ruolo possono avere le scuole di giornalismo?
Sono molto importanti ma sono nate in ritardo rispetto ad esempio alle esperienze di Francia e Stati Uniti. Per questo non hanno potuto esprimere pienamente attraverso i propri laureati un giornalismo migliore e più qualificato. È auspicabile un rilancio delle scuole, affiancato da un nuovo patto con le redazioni.
Una sezione del libro è dedicata alla Sicilia. Quanto la crisi dell’informazione al Sud pesa sulle prospettive del Mezzogiorno?
Pesa moltissimo. Il Sud oggi non ha voci in grado di farsi sentire a livello nazionale, europeo e internazionale. In Sicilia, la Regione avrebbe dovuto sostenere queste attività. Nell’Isola la riduzione dell’informazione pubblica, stampata e televisiva, è il frutto e allo stesso tempo un ulteriore fattore di un drammatico impoverimento.