ItaliaOggi, 17 febbraio 2022
La ferocia del Che
Il Che, missionario di violenza
S’aprì una porta. Simone de Beauvoir ed io entrammo. Un ufficiale dell’esercito ribelle, coperto da un basco, ci aspettava: aveva la barba e i capelli lunghi, il volto limpido e sereno. Era Guevara. Usciva dalla doccia?
Jean-Paul Sartre,
Visita a Cuba
Gli stessi magnifici esemplari della razza africana che hanno mantenuto la loro purezza grazie allo scarso entusiasmo per l’acqua, si sono visti invadere il campo da un nuovo esemplare di schiavo: il portoghese. Il disprezzo e la povertà li accomuna nella lotta quotidiana, ma (…) il nero, indolente e sognatore, spende i pochi soldi in frivolezze o nel tentativo di «piazzare un bel colpo», mentre l’europeo possiede una tradizione di lavoro e di risparmio che lo spinge a progredire.
Ernesto Guevara,
Latinoamericana
Attualmente a Cuba la composizione razziale della popolazione presenta un 70 per cento di neri e di mulatti. Eppure nel governo di Castro c’è un solo nero: un vecchio comandante asceso al grado di generale senza aver vinto una sola battaglia. (…) Bianco è il Ministro degli esteri, come lo è l’ambasciatore alle Nazioni Unite. Bianco è il Ministro della cultura, bianco è l’equivalente del Ministro della propaganda. Chi è dunque il razzista, il nero Batista o il bianco Castro, che va orgoglioso delle proprie origini spagnole?
Guillermo Cabrera Infante, Mea Cuba
Di Guevara, pur sotto l’orpello del culto mistico di allora, appresi risvolti incogniti e imprevisti. Per esempio, seppi di quel «digiuno totale» usato come mezzo punitivo contro i dissidenti che lo stesso Guevara codificò nei suoi Principi generali della guerriglia del febbraio 1959. Nel 1960, nacquero il cosiddetto «campo di lavoro collettivo» situato nell’Isla de Pinos, la prigione Ki-Io 5,5 a Camaguey, nella quale le celle erano autentiche tostadoras – tostapane per il calore insopportabile –, la Cabana dove le celle erano ratoneras, ossia buchi per topi e il «campo di concentrazione» d’El Mambi: di tutto questo fu ispiratore personale Che Guevara. Fu il Vyinskij dei Caraibi. In quegli anni si definiva «partigiano dell’autoritarismo à tout crin», come dire fino al midollo.
Massimo Caprara,
Paesaggi con figure
Ricordo che una volta catturammo un contadino che secondo le informazioni faceva il delatore per l’esercito di Batista. Si decise di nominare un tribunale per analizzare la situazione. Quelli che lo interrogarono giunsero alla conclusione che non c’era la certezza che quei tipo fosse davvero un delatore, perciò non si poteva ammazzare. Ma nel bel mezzo della discussione, il Che si fece avanti e disse: «Bene, se non lo fate voi, lo faccio io». Nel bel mezzo della discussione, il Che tirò fuori il revolver e gli sparò un colpo in testa.
Jaime Costa (in P. Corzo, Che Guevara, missionario di violenza)
Il Che alleato di Juan Domingo Perón? (…) L’eroico guerrigliero sembra che effettivamente si sia recato [in Spagna] a stringere la mano al caudillo e per giunta mentre questi era ospite vezzeggiato d’un Francisco Franco che aveva appena fatto fucilare il comunista Julian Grimau. E non si limitò a stringergli la mano. Ma si intrattenne a discutere sulla possibilità che guevaristi e peronisti collaborassero per scatenare in Argentina una rivoluzione. A [racontarlo] è stato Jorge Serguera, comandante rivoluzionario e in seguito ambasciatore, un personaggio che gode della fiducia di Fídel e le cui memorie hanno una sorta d’imprimatur ufficiale. All’epoca ministro dell’Industria, Guevara aveva lasciato Cuba per partecipare a una Conferenza Onu in programma a Ginevra. Il 17 marzo 1964 il Che parlò a Ginevra. Il 14 aprile incontrò ad Algeri il presidente Ben Bella. Nell’intervallo si pensava che avesse solo peregrinato per Parigi. Invece si era recato in treno nella capitale spagnola, melodrammaticamente travestito da frate cappuccino. In effetti, dal 1964 in poi, la Cia constatò una drastica sterzata a sinistra nei documenti dei peronisti clandestini insieme al fatto che i simpatizzanti del generale stavano aiutando gli agenti dei servizi segreti cubani in Argentina e Uruguay. Nel 1967 il Che, giunto in Bolivia proprio col pensiero di farne una base di partenza verso la sua patria d’origine, trovò il suo tragico destino. Due anni dopo, la gioventù peronista iniziò la lotta armata attraverso il movimento dei Montoneros. Stretti alleati dei montoneros erano i trotskisti dell’Esercito rivoluzionario del popolo la cui branca giovanile si chiamava proprio Juventud Guevarista. Sull’onda dei loro attentati, Perón fu richiamato nel 1972 al potere. Giuntovi, subito svoltò a destra, e il paese di Borges potè assistere allo spettacolo surreale di «peronisti di sinistra» che rapivano e ammazzavano i più stretti collaboratori del generale. Poi, nel 1973, Perón morì di vecchiaia. E il regolamento di conti tra «fascisti» e «guevaristi» che si richiamavano entrambi all’ambiguo mito di Perón sfociò nel dramma della guerra civile, dell’ultimo sanguinosissimo regime militare e dei desaparecidos.
Il Foglio,
16 gennaio 1999
Prima di morire fece le sue infauste dichiarazioni di intenti: «Come saremmo vicini a un futuro luminoso se nel mondo sorgessero due, tre o molti Vietnam col loro bagaglio di morte e le loro intense tragedie!» Fu il suo testamento politico – vera e propria letteratura apocalittica.
Guillermo Cabrera infante, Mea Cuba
Alto, bello, in divisa militare verde-oliva, il Guerrigliero (…) portava alla cintola, bene in vista, una grossa Mauser bruna, che gli aveva causato una discussione col maresciallo dei carabinieri di guardia alla Camera dei deputati. Mi raccontò, nel suo francese delle colonie, d’essersi rifiutato di consegnarla e aggiunse che quella pistola non la lasciava mai da quando, nell’aprile di sette anni prima, aveva partecipato al primo scontro dell’«esercito ribelle» contro le truppe governative di Batista sotto la Sierra Madre. Bussai alla porta e l’introdussi nello studio di Togliatti. Il Guerrigliero tese la mano e si presentò con voce bassa e pacata: «Ernesto Guevara Lynch». Non sentii quello che si dissero.
Massimo Caprara,
Paesaggi con figure
A Huasquillas, in Ecuador, Rojo racconta che Ernesto vinse una scommessa con lui e con Calica affermando che le sue mutande potevano stare in piedi da sole. Se le toglie, le appoggia per terra ed è proprio così. Davanti allo sguardo sorpreso dei suoi amici, una cosa di colore indecifrabile si mantiene ritta.
Paco Ignacio II Taibo, Senza perdere la tenerezza
(da Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani, vol. 2. Dai Processi di Mosca al «disgelo» e a Pol Pot, WriteUp, Roma 2022)