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 2022  febbraio 17 Giovedì calendario

Tutto sulla pioggia

Fra gli eventi atmosferici la pioggia domina l’attenzione di pittori, poeti, intellettuali, uomini di cultura e semplice gente, oltre che ovviamente interessare i meteorologi. Ne illustra brevemente, ma con abbondanza di citazioni, Alain Corbin nella Breve storia della pioggia. Dalle invocazioni religiose alla previsioni meteo, uscita presso Marietti con alcune piacevoli, pur se insufficienti, riproduzioni pittoriche (peccato, perché Parigi, per citare un unico caso, si è sempre mirabilmente prestata a dipinti sotto l’acqua, specie fine).

Da circa tre secoli disponiamo di dati ritenuti solidi ed estesi sul clima e sui mutamenti meteorologi, ma ben più che il mero aspetto scientifico interessa soprattutto la reazione di tanta cultura attraverso i millenni, partendo dalle invocazioni religiose, antiche ma ripetute incessantemente. La paura della siccità è stata diffusa presso molte popolazioni, anche se l’urbanizzazione e la costante diminuzione degli addetti all’agricoltura l’hanno ridimensionata. In fondo, nella stessa Chiesa cattolica le cosiddette Quattro tempora sono essenzialmente rimaste legate al ricordo o alla citazione erudita.
È curioso tornare al passato, quando «nei territori delle parrocchie rurali, accanto ai buoni santi guaritori c’erano i santi portatori della pioggia e del bel tempo». Erano i santi detti «pluvi», associati alle «buone fontane», alle quali si assegnava il potere di far piovere. «Il più celebre fra loro fu san Medardo. La leggenda lo vuole mercante di ombrelli. In caso di siccità, veniva talvolta invocato dai contadini con il nome di saint Pissard. Per onorare questi santi, il clero e i fedeli si recavano in processione e persino in pellegrinaggio».

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Scorrendo le pagine di Corbin si legge di come nel tardo Settecento Bernardin de Saint-Pierre si soffermasse sul piacere della pioggia, madre della malinconia, mentre Plinio aveva citato un console romano che faceva alzare la lettiga sotto un albero, per addormentarsi al bene amato mormorio delle gocce di pioggia. Maine de Biran, nel 1819, si lagnava invece dei guai che gli arrecava la pioggia: «lo stomaco è come affossato su sé stesso, le digestioni sono laboriose, le idee lente e oscure; il mondo scompare ai miei occhi». L’elenco poi spazia da Joseph Joubert a Henry David Thoreau, da Victor Hugo a Madame de Sévigné («Le foglie si infradiciano in un attimo, e così i nostri vestiti. E poi ecco che tutti corriamo. Si grida, si cade, si scivola, infine alé, accendiamo un grande fuoco. Ci cambiamo sopra e sotto; penso a tutto io. Mettiamo le scarpe ad asciugare. Ridiamo da morire») ad André Gide, ostile alla pioggia. Non potevano mancare Charles Baudelaire, che leggeva la pioggia nello spleen, e Paul Verlaine, autore di versi squisiti ed eufonici sulla pioggia.
Non sarebbe stato errato citare Gabriele d’Annunzio (salvo errori, però, l’unico nome italiano ricordato è Leonardo da Vinci), cui si deve un’intera lirica, fra le più elevate nella storia letteraria italiana, dedicata proprio a La pioggia nel pineto. Ne La sera fiesolana (storicamente, era in realtà un crepuscolo assisiate) il poeta riprendeva quasi alla lettera un brano di Verlaine: «la pioggia che bruiva/ tepida e fuggitiva» rinviava al «bruit doux de la pluie», il dolce rumoreggiare della pioggia.
La pioggia inferisce pure sulla politica, venendo condivisa da sudditi e sovrani, come occorse a Luigi Filippo, oppure danneggiare manifestazioni, come nel corso della Rivoluzione francese. Ormai, tuttavia, ha agito il «progressivo discredito dell’intervento divino»: non si attende più la pioggia come un tempo, grazie alla scienza meteorologica. «Questi nuovi dati hanno annullato l’effetto della sorpresa e soprattutto hanno squalificato i saperi degli uomini di altri tempi, che con lo sguardo, l’umidità percepita dal corpo o il vento sulla pelle e tante altre sensazioni prevedevano l’irruzione o meno della pioggia».