il Giornale, 16 febbraio 2022
Intervista a Claudio Simonetti
Claudio Simonetti, il 19 febbraio compirà 70 anni.
«Il mio lavoro mi conserva giovane, chi fa questo mestiere non va mai in pensione perché ha un progetto dietro l’altro».
Il prossimo?
«Con la mia band sto reincidendo la colonna sonora di Suspiria, che compie 45 anni. Arrangiamenti più progressive anni ’70 ma con sonorità moderne».
Claudio Simonetti, nato a San Paolo del Brasile e figlio del grande Enrico, è una leggenda per chiunque ami i suoni scuri e magnetici dell’horror visto che ha firmato, tanto per capirci la colonna sonora di Profondo rosso di Dario Argento con il brano omonimo che l’identikit perfetto del terrore incalzante. Ma ci sono altri Claudio Simonetti da (ri)scoprire: quello che ha aperto la strada all’Italo Disco di inizio ’80 e che in questi anni fa tour da decine di date negli Usa e in Giappone.
Sempre in giro.
«Ho fatto più concerti in quest’ultimo periodo che nei decenni precedenti. Fuori dall’Italia c’è un seguito incredibile per la musica che facciamo in Italia. Ad esempio, al Club Città di Kawasaki, vicino a Tokyo, tre anni fa abbiamo suonato noi dopo due sold out consecutivi di Gigliola Cinguetti, che è adorata dai giapponesi».
Gli eroi musicali di Claudio Simonetti?
«Musicalmente sono nato nel pieno del beat e del rock. Quindi sono cresciuto con Jethro Tull, Led Zeppelin, Gentle Giant, Yes, Keith Emerson. Ricordo quando sono andato in bici al Brancaccio a vedere Jimi Hendrix nel 1968. Spettacolo pomeridiano eh, perché avevo 16 anni. Poi lui ha suonato pure alla sera. Era l’epoca in cui si affacciavano anche i giganteschi Deep Purple».
Qualche tempo fa il cantante Ian Gillan (mi) ha confessato di non sapere che cosa sia l’autotune.
«La prima a usarlo è stata forse Cher. Ma di certo questi effetti lasciano il tempo che trovano quando non si hanno idee musicali a supportarli».
Cos’è stato per lei comporre Profondo Rosso con i Goblin nel 1975?
«Un esordio da sogno proibito. Fu come vincere la lotteria».
Poi arrivò Suspiria, 45 anni fa.
«Un successo discografico minore, ma un film che forse ha avuto ancora più successo di Profondo Rosso. Ad esempio, in Giappone Profondo Rosso è uscito dopo Suspiria con il titolo Suspiria parte seconda».
Argento ha appena presentato a Berlino il suo nuovo horror Occhiali neri.
«Ho composto le musiche per la maggior parte dei suoi film. L’ultimo film che ho seguito con Dario Argento è Dracula di dieci anni fa».
Magari avete litigato.
«Mai avuto problemi, anzi, abbiamo sempre avuto un bel rapporto. Di certo, rimasi male quando nell’autobiografia Paura parlò di tutti, da Morricone a Keith Emerson, ma accennò a me soltanto di sfuggita in merito a Profondo Rosso. Però non abbiamo mai litigato, figurarsi».
Non a caso la sua autobiografia edita da Tsunami si intitola Il ragazzo d’argento.
«Lì racconto tutta la mia vita, nella quale ovviamente il rapporto con Dario Argento è importante dal punto di vista professionale».
Nel 1978 scoglie i Goblin e fonda gli Easy Going che aprono il periodo d’oro della Italo Disco.
«Ero con il produttore Giancarlo Meo, che anni dopo produsse Squérez? dei Lùnapop rifiutato dalle major».
Nel 1981 scrive la musica di Gioca Jouer di Claudio Cecchetto.
«Cecchetto me lo propose quasi per gioco, ma poi diventò la sigla del Festival di Sanremo del 1981».
Com’è nata?
«Pensai: cosa fa ballare di più in Italia? Mi è venuta in mente la tarantella e il ritmo è quello, al quale sono vicine anche canzoni come Whatever you want degli Status Quo e altre. Oltretutto di quel brano ho suonato tutto io a parte batteria e sax».
Non lo sanno in molti.
«Claudio Cecchetto non lo ricorda quasi mai. Se non sbaglio, l’ha fatto una sola volta durante una intervista al Festival. E in effetti mi dispiace».
Ma perché finirono i Goblin e lei lasciò il rock progessive?
«Perché quel 1978 fu un anno difficilissimo per noi e per tutta la nostra generazione. Ci fu il sequestro Moro, che gettò un dolore enorme su tutti. Pochi giorni dopo il ritrovamento di Moro in via Caetani, morì anche mio papà, giovanissimo, aveva 54 anni. E anche i tempi musicali stavano cambiando. I sessantottini non erano più ventenni ma trentenni e si preparavano a diventare yuppies. Stava nascendo la dance dei La Bionda e di Giorgio Moroder».
Claudio Simonetti, con i diritti delle sue canzoni avrà guadagnato molto.
«Ci sono stati periodi in cui abbiamo guadagnato tanti soldi e tanti ce ne siamo mangiati».
Il momento più brutto?
«Negli anni Novanta, sembrava fosse tutto finito. Poi, per fortuna, con gli anni Duemila tutto ha iniziato a rifiorire».
C’è poco rock in Italia oggi, nonostante i Maneskin.
«Ce n’è, ma molto è underground. All’estero è un po’ diverso. Mi è capitato di partecipare a Festival metal con grandi nomi come Dream Theater e vedere che il pubblico conosceva e seguiva i miei brani».
Ha rimpianti alla vigilia dei settant’anni?
«No ho fatto cose meravigliose ed entusiasmanti. Ad esempio, entro fine anno dovrei fare una o due tournèe negli Stati Uniti, dove mi accolgono sempre con onori da rockstar».
Però.
«Però mi manca di non aver avuto un grande riconoscimento ufficiale. Ad esempio Mattarella premia quasi solo gli sportivi, non gli artisti. In fondo credo di aver meritato e di aver fatto onore al nome dell’Italia nel mondo».
E come mai?
«Quasi tutto in Italia è legato alla politica e alla stampa giusta e io sono sempre stato estraneo a queste logiche perché ho sempre pensato soltanto a creare e suonare miglior musica che potessi scrivere».