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 2022  febbraio 16 Mercoledì calendario

I politici no green pass

«Se sono a favore dei vaccini? La situazione è quella che ho sempre detto: sono in mano ai medici per valutare quando farlo». E ancora, a rincarare una dose che evidentemente non era quella del vaccino, «seguo le prescrizioni mediche e mi fido dei dottori che stanno valutando che cosa fare e quando fare». Da quei giorni del settembre scorso, da quando cioè Virginia Raggi dichiarava di subordinare l’idea di vaccinarsi al consiglio del suo medico, sono passati cinque mesi. Le norme sono cambiate, il Covid-19 si è presentato con nuove varianti, la scienza ha fatto altri passi da gigante. Alle due dosi s’è aggiunta una terza, il green pass è stato approvato e poi rafforzato, per gli over 50 è scattato l’obbligo. Cinque mesi in cui è successo di tutto tranne una cosa, almeno a prendere per buone le parole dell’allora sindaca di Roma: il suo medico, questo vaccino, non gliel’ha mai consigliato. 
Si spiegherebbe soltanto così, col massimo della buonafede riconosciuta, il fatto che Raggi non abbia il green pass rafforzato, quello che si ottiene con la vaccinazione (che verosimilmente non ha) o dopo aver contratto il Covid-19 (cosa che invece le è successa nel novembre 2020, quindi molto prima degli ultimi sei mesi). Certo, l’ex sindaca di Roma, non avendo cinquant’anni, non è soggetta all’obbligo. Ma il suo mancato possesso del super green pass, la settimana scorsa, ha spinto i Cinque Stelle in una specie di trappola «logistica» rimasta finora al riparo da orecchie indiscrete: chi ha organizzato la discesa di Beppe Grillo nella Capitale, per capire se era possibile farla partecipare alle riunioni coi big del Movimento, prima ha cambiato albergo (dal Forum, di cui l’ex comico è un fedelissimo, al Parco dei Principi); poi si è dovuto arrendere al fatto che, senza green pass rafforzato, la Raggi comunque non avrebbe potuto accedere all’hotel. E infatti, alla fine, si è collegata via Skype. 
L’entrata in vigore dell’obbligo per gli over 50 accende intanto la protesta di una decina di senatori che hanno fatto ricorso contro l’applicazione della norma a Palazzo Madama. Tra questi c’è Mario Michele Giarrusso, che reagisce con tempismo da record a chi gli chiede come mai non si è ancora vaccinato. «Lei mi sta chiedendo del mio vaccino? Scusi, ma come si permette? Io per caso le chiedo che anticoncezionale ha usato lei o sua moglie?». L’indomito senatore catanese, che insieme ad altri ex grillini come Gianluigi Paragone e Carlo Martelli sventola al Senato il vessillo del partito Italexit (anche Paragone e Martelli hanno fatto ricorso), si esibisce in una disquisizione di natura costituzionale mutuando dalle sue convinzioni «la certezza che dire no all’obbligo del green pass per entrare in Parlamento vuol dire opporsi a una norma fascista. Lo sa che cosa potrebbe accadere un domani?». Si fa la domanda poi si dà la risposta, seguendo lo schema reso celebre dal giornalista Gigi Marzullo: «Che una maggioranza potrà approvare una legge che impedisce l’ingresso al Senato a quelli che non sono alti oltre un metro e ottanta, non sono biondi, non hanno gli occhi azzurri... E poi, mi scusi: ma mica questo è un lavoro? Io sono un rappresentante della volontà popolare!». 
Emanuele Dessì, uscito dai Cinque Stelle dopo che il Movimento aveva deciso di votare la fiducia al governo Draghi, oggi rappresenta in Senato il Partito comunista di Marco Rizzo. Anche lui, ieri, ha presentato un ricorso contro il divieto d’accesso a Palazzo Madama agli over 50 non in possesso di green pass rafforzato. Ma i suoi toni sono diversi da quelli degli altri barricaderi. «Io credo nella scienza, nella medicina, nei vaccini. Sono un soggetto oncologico, se non ci credo io nella scienza non ci crede nessuno. Eppure sono contro l’obbligo di green pass che potrebbe tenere lontano dal lavoro un milione e mezzo di italiani. Non ha senso questa misura in questa fase della pandemia». Caro gli costerà non partecipare alle sedute e non percepire la diaria. «Le dirò: è giusto che io perda parte dello stipendio. Fare una battaglia vera comporta il doveroso pagarne le conseguenze. Che pago, mi creda, molto volentieri».