La Stampa, 16 febbraio 2022
In Antartide dai ghiacciai nascono i fiori
Come ci ha insegnato Charles Darwin, ogni spazio che in natura viene lasciato libero da una specie è immediatamente occupato da un’altra: la competizione è continua, e dove c’è un po’ di terreno, di acqua e di calore cresce sempre qualcosa. Non bisogna dunque stupirsi se a causa del riscaldamento globale che scioglie il ghiaccio due piante autoctone dell’Antartide, la Deschampsia antarctica e la Colobanthus stillensis, si stanno diffondendo con una rapidità mai vista prima: la prima cinque volte di più di quanto sia accaduto tra il 1960 e il 2008, la seconda addirittura dieci volte. L’Antartide era milioni di anni fa un continente privo di ghiaccio, ricoperto di foreste. Oggi è caratterizzato da un ecosistema fragile che ha subito cambiamenti rilevanti negli ultimi decenni. Un gruppo di ricercatori che lavora a Signy Island, nelle Orcadi meridionali, ha notato sull’isola la rapida diffusione delle due piante autoctone. Che stanno rinverdendo aree dove prima era impossibile che crescesse qualcosa.
Nessuno terrebbe in casa in un vaso una Deshampsia antartica: è poco più che un mucchietto di erba, ma ha la straordinaria caratteristica di sopravvivere a temperature molto basse, fino a – 30 gradi centigradi, e di non patire troppo la mancanza di sole. I botanici l’hanno studiata a lungo, perché speravano di poter individuare un gene trasferibile ad altre piante che invece patiscono le brinate dell’inverno europeo, per renderle più resistenti. La straordinaria tempra della Deschampsia antarctica e della Colobanthus stillensis ha permesso loro di continuare a sopravvivere nel continente più freddo della Terra, e ora che le temperature dell’area si stanno alzando, occupano ogni spazio libero da neve e ghiaccio, rendendo verdi ampie zone di terreno. A parte una pausa più fredda nel 2012, le temperature estive dell’Antartide sono aumentate ogni anno fino a 0,27 gradi centigradi. «Gli ecosistemi terrestri antartici rispondono rapidamente a questi input climatici – ha detto la ricercatrice Nicoletta Cannone, dell’Università dell’Insubria, che ha avuto un ruolo rilevante nella ricerca -. Mi aspettavo un aumento di queste piante, ma non di questa portata, stiamo osservando molteplici prove che un cambiamento importante si sta verificando in Antartide».
Secondo lo studio, pubblicato su Current Biology, alla diffusione delle piante autoctone contribuisce anche la minore presenza sull’isola delle foche che in passato, calpestando qualunque filo d’erba sul quale passavano, ne compromettevano la crescita. Le foche probabilmente si sono spostate altrove per variazioni nella disponibilità di cibo e nelle correnti marine, dando il loro contributo al rinverdimento dell’area.
Ogni volta che una specie vegetale occupa spazi lasciati liberi, si verificano cambiamenti nei funghi, nei batteri e nell’acidità del suolo, dando vita a una catena di modifiche che influenza l’intero ecosistema e finisce con l’avere conseguenze anche sulla vita animale. Inoltre, secondo il rapporto, è sempre presente il rischio che piante non autoctone si insedino nell’area e riescano ad avere la meglio sulle specie locali, prendendone il posto. Nel 2018 – ha ricordato il «Guardian» in un servizio dedicato alla scoperta – una specie invasiva di erba, spesso usata per i campi da golf, ha invaso proprio Signy Island. «La biodiversità dell’Antartide – ha detto la dottoressa Cannone – ha richiesto milioni di anni di evoluzione: il cambiamento della vegetazione comporterà un effetto domino sull’intero complesso degli organismi vegetali e animali che occupano quello spazio».
Ma non c’è molto da fare. Se un territorio diventa improvvisamente adatto ad ospitare nuove specie animali o vegetali l’uomo può fare poco per impedirlo. Durante il Pliocene medio, circa tre milioni di anni fa, in Antartide faceva molto più caldo e dal Sud America sono arrivate specie che l’hanno colonizzata. Lo stesso sta avvenendo ora, con il trasferimento di muschi, licheni, piante e invertebrati portati involontariamente anche dai turisti che prima del Covid arrivavano a frotte sul continente per provare l’ebbrezza del gelo e dell’aria tersa come in nessun altro luogo. La competizione è iniziata, e sopravviverà il più forte e il più adatto al nuovo ambiente.