la Repubblica, 16 febbraio 2022
Addii e processi nella Lega
Un chilometro divide il dogma dall’eresia. Un chilometro fra la sede della storica Liga Veneta e il municipio amministrato da un leghista: nella prima risiede il commissario Alberto Stefani, giovane custode salviniano della cassaforte di consensi di questa ricca area del Nord Est, nell’altra il sindaco di Noventa Padovana, Marcello Bano, uno dei tre “dissidenti” finiti sotto processo per insubordinazione e passibili di espulsione: decideranno i probiviri di Milano. Bano ha contestato la scelta (non ancora ufficiale) del candidato civico del centrodestra a Padova, Francesco Beghin, definendolo la “brutta copia” di un esponente del Carroccio della prima ora, l’assessore regionale Roberto Marcato. Ed è scattata la censura: «Rischio di essere cacciato per aver sponsorizzato il nome di un esponente del mio partito», sorride amaro Bano, che sottolinea una storia decennale di militanza, voti e vittorie impreviste: «Ho fatto fuori la sinistra da questo paese dopo vent’anni. Quattro mesi fa i complimenti, ora questo provvedimento per aver manifestato un’opinione. Dov’è la democrazia interna?».
È una storia minima che racconta di un distacco grande, quello fra «il partito degli eletti a Roma e il partito degli amministratori», per dirla ancora con Bano. I commissariamenti a ogni livello, uniti al calo di consensi e all’incertezza sulle mosse della Lega al governo, e ancora le liti sulle candidature per le prossime amministrative, hanno trasformato il Nord Est in un vulcano silente. Ma pronto a esplodere.
Le scosse, in realtà, si estendono dal Friuli all’Emilia Romagna: a Udine una ventina di iscritti, fra cui l’ex capogruppo Marcello Mazza e l’ex assessore provinciale Stefano Teghil, hanno annunciato il loro addio tagliando pubblicamente la tessera. Mentre in Emilia Romagna, nelle ultime settimane, una ventina di consiglieri comunali ha lasciato il Carroccio: è accaduto a Forlì, Faenza, Scandiano, Bagnacavallo, Conselice, Viadana, Casalecchio di Reno. In quella zona gli ex deputati Gianni Fava e Gianluca Pini stanno lavorando sottotraccia per ridar vigore alla vecchia Lega Nord, oggi rimasta una scatola vuota (con i debiti della precedente gestione).
In mezzo c’è la roccaforte veneta, teatro di imputazioni e veleni. Da Noventa, undicimila anime alle porte di Padova, a Treviso. Flavio Pettenà, ex presidente del consiglio provinciale, parcheggia il suo furgone (si occupa di impianti di condizionamento) e si sfoga sotto un accenno di pioggia in piazza Santa Maria Maggiore: «La mia Lega è la Liga, non certo la Lega per Salvini premier, e lo è da 37 anni. Ho il diritto di esprimere l’insofferenza per un partito che non discute più? Prima c’erano sezioni in ogni paese, oggi decidono tutto i commissari. Io non parlo per me, interpreto la pancia della Liga». E lo dice con l’orgoglio di chi ha «duemila numeri nella rubrica del cellulare», di chi ha imperversato per lustri in sagre, comizi, raduni ed è protagonista di una folgorante battuta in dialetto trevigiano: «Dio è in ogni posto e Pettenà xe za passà », ci è già passato. «Insomma, qui i nostri sindaci e il governatore Zaia si sono battuti per limitare la pandemia mentre a Roma – prosegue – mettevano in dubbio i vaccini. Poi lo scandalo dell’addetto stampa di Salvini (Morisi, ndr). Noi siamo gente onesta che lavora e ci mette la faccia, queste cose non le abbiamo capite».
Pettenà ci è andato giù in modo decisamente duro («Salvini deve andare a lavorare») e il commissario regionale Stefani non può che allargare le braccia: «Ma davanti ad affermazioni del genere potevamo non intervenire?». Le diffide, in realtà, sono tre: sotto processo c’è pure Giovanni Bernardelli, ex presidente del consiglio comunale di Conegliano Veneto, imputato di mancato sostegno al candidato sindaco della Lega alle ultime amministrative. «Mi hanno visto mentre prendevo un caffè con il rivale e sono stato denunciato», si difende lui. E dovrà rispondere al giurì federale anche un big come Gianantonio Da Re, eurodeputato ed ex segretario regionale, che in un’intervista ha criticato la linea di Salvini sulla pandemia. La vicenda ha fatto rialzare la voce anche ad esponenti storici come Giancarlo Gentilini, l’ex sindaco sceriffo di Treviso: «Attivisti messi alla porta da gente che ha appena poggiato il culo sulla cadrega a Roma: queste cose ai miei tempi non succedevano».
Ora, non è che in passato la Lega non abbia vissuto la stagione delle espulsioni (sotto la guida di Tosi, in Veneto, ne furono decretate decine) ma «è il momento storico che è diverso», sottolinea Marcato, uno dei fondatori della Liga Veneta e oggi assessore allo Sviluppo economico della giunta Zaia: «Vede, una cosa è un provvedimento preso da segretari legittimati dal voto dei militanti, un’altra è una decisione di un commissario. È giusto che le regole si applichino, ma meglio parlarsi prima di intervenire. E c’è un tema ormai indifferibile: quello dei congressi. Bisogna celebrarli, tutti, entro la fine dell’anno». È una questione centrale, perché concerne gli equilibri in una regione in cui il governatore Luca Zaia, mai amico di Salvini, nel 2020 ha preso quattro volte i voti della lista ufficiale della Lega. E riguarda un aspetto terribilmente pratico: chi farà le liste per le Politiche del 2023?
Zaia osserva e non parla: «Un partito tanto è più forte quanto più riesce a mantenere la sua identità», ha detto in passato. Ogni riferimento al Capitano, che ha aperto al Sud e dimenticato l’autonomia, è puramente casuale. Già, l’autonomia: «Che fine ha fatto ? È l’argomento più sentito e non si tratta di soldi: per il Veneto è un fatto antropologico», dice Marcato. Quel referendum che nel 2017 si concluse con il sì di 2,3 milioni di veneti attende ancora attuazione, ed è il maggiore cruccio dei militanti insofferenti. Mentre gli imprenditori, che pure hanno voluto la Lega al governo, si aspettavano di più.
Fabrizio Boron, consigliere regionale della Lega, opera nel settore della meccanica: «C’è disorientamento per le posizioni contraddittorie come quelle sul Superbonus edilizio ma c’è anche difficoltà a farsi ascoltare su problemi apparentemente minimi: penso ai ritardi nel rimborso dei crediti Iva o al provvedimento che dovrebbe sbloccare gli esami per centinaia di ragazzi che hanno fatto lunghi e costosi corsi per tecnico valutatore delle autovetture ». Anche Boron, per inciso, contesta le scelte per le amministrative di Padova e, in attesa di un confronto, ha messo a disposizione la propria candidatura. Sapendo che potrebbe essere costretto a uscire dalla Lega. Nel frattempo ha fondato un’associazione culturale, Vale Padova: «Almeno lì ci si può confrontare e dialogare». Le amministrative saranno un nuovo banco di prova, per Salvini. Però nei tre capoluoghi veneti dove si voterà (Verona, Padova, Belluno), non c’è un candidato della Lega, malgrado i numeri da vecchia Dc. Altro particolare che fa montare il malcontento. Con lo spauracchio di Flavio Tosi, il più famoso degli espulsi del Carroccio, che correrà da solo a Verona per prendersi la sua rivincita: «Con Salvini ci siamo scritti, lui ha preferito restare legato al candidato di Giorgia Meloni. Ma i leghisti voteranno per me. E anche Matteo lo sa».