Stefano Boldrini per "il Messaggero", 15 febbraio 2022
“IL CANCRO TI CAMBIA LA VITA. TAGLIA CON UN COLPO DI ACCETTA TUTTO IL FUTILE” – SEBINO NELA RACCONTA I 9 ANNI DI LOTTA CON LA MALATTIA - “PALLOTTA AVREBBE POTUTO VINCERE LA CHAMPIONS MA… - I FRIEDKIN NON PARLANO MAI. SI SONO AFFIDATI ALLE STRAORDINARIE DOTI DI UN GRANDISSIMO COMUNICATORE COME MOURINHO. VORREI OCCUPARMI ANCORA DI CALCIO. HO RICEVUTO TANTE PROMESSE, POI SPARIVANO TUTTI” – LO SCUDETTO PERSO CONTRO IL LECCE (“UNA FOLLIA”), IL COVID (“LA SANITA’ ITALIANA DOVEVA FARE DI PIU’”), IL CORANO ("L'HO LETTO TUTTO") E PAPA FRANCESCO: “NON MI PIACE IL SUO ATTIVISMO POLITICO” -
Comincia così: «Interessa ancora ascoltare Sebino Nela?». Finisce in questo modo: due ore di chiacchierata, al tiepido sole di febbraio, all'aperto di un bar dell'Eur con vista sulla famosa «gruviera», il Palazzo della Civiltà del Lavoro, quello del «popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi».
Magari un giorno aggiungeranno di «calciatori e allenatori», chissà. Sebino è tutto blu: giacca, pantaloni, cappello di lana, persino gli occhiali. Nela, prima domanda scontata: come va la salute? «Bene, non posso lamentarmi. Nove anni di lotta con la malattia. Ora è tutto ok, ma non nascondo che quando devo fare i controlli, ogni cinque mesi, la settimana precedente non sono serenissimo. Il cancro, perché è questa la parola giusta, ti cambia la vita. Cambia le priorità e la percezione delle cose.
Taglia con un colpo di accetta tutto il futile, comprese quelle arrabbiature quotidiane per episodi irrilevanti. Io ho affrontato la malattia mettendo tutto me stesso: i miei punti di forza, le debolezze, aggrappato alla vita e agli affetti, ma nella consapevolezza che, spesso, essere forti contro un avversario durissimo come questo non basta».
Due anni fa è arrivato un nuovo nemico, il Covid. «E qui ci sono molte cose da dire. Una su tutte: la pandemia ha reso ancora più difficile la vita ai malati di cancro. Ha ritardato gli interventi e le diagnosi, ha provocato un maggior numero di morti perché la tempestività in questa malattia è fondamentale. I numeri parlano chiaro: 30 per certo di analisi mancate, aumento dei decessi, allarme per le prevenzioni. Per due anni si è parlato solo di Covid, ma la gente ha continuato a morire di cancro, di infarti e di altre patologie. La sanità italiana doveva fare di più».
Come si schiera sulla questione vaccino/No vax? «Io ho fatto le tre dosi, credo nella scienza perché mi ha salvato la vita, ma mi chiamo fuori da questa rissa, soprattutto mediatica. Lo show sulle malattie non è accettabile. Una delle conseguenze peggiori è che, invece di fare informazione, si produce disinformazione. Alimentare l'ignoranza è una colpa grave. Io sono per il dialogo e il confronto: si parla con i talebani e non si riesce a mettere a confronto posizioni differenti sui vaccini?».
I social? «È un mondo che non conosco. Sono fuori da tutto».
Nela come combatte l'ignoranza? «Leggo: giornali, libri, riviste. Mi interessano la storia, la politica, i grandi fatti del mondo. Ho letto il Corano. Mi sono documentato sull'ebraismo. Dietro le peggiori guerre e atrocità della storia, c'è quasi sempre l'estremismo religioso. Aggiungo una considerazione: non mi piace l'attivismo politico di papa Francesco».
Nela è stato calciatore, opinionista sportivo e dirigente: a un passo dai 61 anni, quali sono ancora le aspirazioni? «Mi piacerebbe occuparmi di calcio in modo serio, con un incarico di responsabilità nel quale mettere a disposizione il bagaglio di una vita. Sono passati diversi tram. Ho ricevuto diverse promesse: Sebino, sto pensando a te», e poi sparivano. Nel privato, mi piacerebbe visitare paesi dove non sono mai stato: Australia, Canada e soprattutto Nuova Zelanda. Amo il rugby, gli All Blacks e sono incuriosito dai maori».
Dove non tornare? «Negli Stati Uniti. Non mi piace la cultura di quel paese. Non mi piace l'arroganza di un popolo che si crede superiore e vuole dare lezioni di civiltà al resto del mondo». Il luogo migliore per vivere? «L'Europa, con le sue lacerazioni e le sue contraddizioni. Credo in un'Europa che abbia un senso per tutti e in cui i diritti nazionali abbiano maggior rilevanza. E poi naturalmente l'Italia, con le sue problematiche».
Nela arriva a Roma nel 1981 per giocare fino al 1992. Poi ci torna nel 1994, dopo aver chiuso con il Napoli. «Non ho mai lasciato Roma. Sono arrivato in questa città 41 anni fa, ci ho costruito la mia vita affettiva e personale. Fa male vedere la sua bellezza millenaria degradata: colpa degli amministratori incapaci e dei cittadini incivili».
Ha giocato nella Roma più bella e più vincente della storia: dal 1980 al 1986 uno scudetto, quattro coppe Italia, la finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool. «Eppure la sconfitta che fa più male è quella con il Lecce: una follia, contro una retrocessa e dopo essere passati in vantaggio. Il ko con il Liverpool fu duro da digerire perché fu un'occasione irripetibile: la finale di Champions in casa. Ma non ho mai odiato il Liverpool perché era una grande squadra e la città di Liverpool ricorda Genova. Noi sbagliammo molto: la preparazione, l'approccio, la tensione a mille. Il Liverpool si allenò al mare, in modo scanzonato».
Quali furono le ragioni di quel ciclo della Roma? «Un presidente illuminato, un ottimo allenatore, una squadra di grandi giocatori, un grandissimo capitano».
Viola? «Un fuoriclasse. Costruì nel tempo una squadra di alto livello, aggiungendo ogni anno una o due pedine importanti».
Liedholm? «Un allenatore con grandi intuizioni. Mi prese alla Roma dal Genoa appena promosso in serie A. Giocavo difensore centrale, ma disse subito che mi vedeva esterno. Aggiungo tre nomi. Di Marzio: mi insegnò quasi tutto. Simoni: un signore. Radice: bella persona. L'anno del Flaminio e del quinto posto fu una delle stagioni migliori». Di Bartolomei. «Un punto di riferimento. Lo stimavo tantissimo. E mi ha fatto piacere sapere che anche lui aveva affetto per il sottoscritto. Conservo ancora la dichiarazione di Marisa Di Bartolomei».
Rapporti con gli ex di quell'epoca? «Abbiamo una chat per tenere i contatti. Ogni tanto si organizzano cene». Tutti d'amore e d'accordo? «Mah, ci sono diversità di opinioni, come è naturale che sia. C'è chi si è speso più per gli altri e c'è invece chi ha pensato a se stesso».
Talvolta, parlando con gli ex in generale, molti lamentano il fatto di essere stati dimenticati dai club. «Non basta il curriculum da calciatore per ricoprire un ruolo in una società. Bisogna studiare. Io ho seguito tutti i corsi possibili».
Il giudizio sulla Roma di Pallotta? «A Roma sono passati fior di giocatori, ma sono stati rivenduti. La Roma avrebbe potuto vincere una Champions tenendo i migliori, ma quando vivi sull'import export, ottenere risultati è dura».
La Roma dei Friedkin? «Non parlano mai, ma questa è la loro strategia da quando sono arrivati. Si sono fidati e affidati alle straordinarie doti di un grandissimo comunicatore come Mourinho».
La squadra da seguire in Italia? «L'Atalanta. E' un esempio per le competenze sportive e per la gestione finanziaria del club». Il calcio estero? «L'intensità della Premier. La sostanza della Bundesliga. In parte la Liga, anche se ha perso colpi. La Ligue 1 non mi prende».
Nela in poche parole? «Un uomo libero che convive con le sue fragilità».
Il vento in faccia, rilanciando il titolo del libro scritto da Nela con Giancarlo Dotto, è ancora forte? «Il vento mi accompagna sempre. Qualche volta si placa, quasi un refolo. All'improvviso si rialza e mentre sale, ti aspetti la tempesta. È la mia vita».