Corriere della Sera, 15 febbraio 2022
Nessun intellettuale degli anni Trenta aveva capito che sarebbe scoppiata la guerra
Ha dell’incredibile la sostanziale assenza di consapevolezza con la quale intellettuali e artisti europei vissero il decennio che precedette la Seconda guerra mondiale. Personalità del calibro di Thomas Mann, Pablo Picasso, Bertolt Brecht, Greta Garbo, Walter Gropius, Lotte Lenya, Hermann Hesse e moltissimi altri, furono incapaci di distogliere lo sguardo dalle loro vicende anche minime. I libri di storia quasi sempre raccontano qualcosa di diverso, cercano di dimostrare che chi voleva presagire a cosa avrebbe portato l’avventura hitleriana aveva tutti gli elementi per vedere in anticipo l’abisso verso cui si stava scivolando. E che la maggior parte degli intellettuali e artisti dell’epoca si rese conto di cosa stesse accadendo. Invece furono assai pochi quelli che intravidero quanto si stesse avvicinando il giorno dell’apocalisse. Qualcosa in più, ovviamente, la intuirono gli ebrei tedeschi costretti all’emigrazione. Quasi tutti gli altri sostanzialmente non seppero vedere il baratro verso cui l’Europa stava precipitando. Se non per ciò che atteneva ai propri destini personali (quelli strettamente privati). Poi, a guerra finita, al cospetto delle macerie del continente, raccontarono di aver presagito. Ma a rileggere i loro diari, le testimonianze in tempo reale, le lettere che si scambiarono, il panorama appare diverso. Del tutto diverso.
Tale panorama è adesso ricostruito da Florian Illies in un libro asciutto e, proprio per questo, straordinario: L’amore al tempo dell’odio. Una storia sentimentale degli anni Trenta, pubblicato da Marsilio. Illies non dà interpretazioni, non ha tesi da proporre. Ricostruisce le atmosfere di quel decennio con le parole degli interessati. E si rimane sgomenti. Soprattutto per quel che riguarda gli ultimi mesi, l’estate prima dell’inizio di settembre del 1939 allorché la Germania avrebbe invaso la Polonia.
Appena impartito l’ordine di aprire le ostilità, Adolf Hitler telefona a Leni Riefenstahl (l’amica che aveva filmato le Olimpiadi di Berlino) e le domanda se non «le andrebbe di fare due riprese sul fronte polacco». La regista accetta con entusiasmo e, racconta Illies, «corre da un sarto sul Kurfürstendamm da cui si fa confezionare a tempo di record un’uniforme fantasia tra il giallo e il verde, con tanto di spalline e distintivo». Di suo aggiunge una pistola nel cinturone e un pugnale nello stivale. Per ordine del Führer, Riefenstahl ha libertà di movimento pressoché totale tra i soldati in armi. Gli ufficiali non la sopportano. La volta in cui deve assistere alla fucilazione di ventidue ebrei, «la nostra visitatrice si ritira un po’sconvolta» (scrive il generale Erich von Manstein, comandante del gruppo di armate del Sud). Ma si riprende immediatamente.
Nell’estate del 1939 Marlene Dietrich trascorre le ferie ad Antibes, accompagnata dal marito Rudolf, dall’amante di lui, Tamara, dalla figlioletta Maria, la madre Josephine, l’ex amante Josef von Sternberg e l’amante in carica Erich Maria Remarque. Le loro sono, a detta di Illies, «settimane indolenti di sole, di alcol e di sofferenza». Il 14 agosto la Dietrich parte per l’America dove le hanno offerto un ruolo in un piccolo film, Partita d’azzardo. Interpreta il ruolo di una cantante di saloon. Le canzoni gliele scrive Friedrich Hollaender che, esule, ha trovato rifugio a Hollywood. Sul set la Dietrich ha una storia con l’attore principale, il trentenne James Stewart. La raggiunge Remarque, che per lei abbandona la moglie sposata l’anno prima. Dietrich gli fa esplicitamente intendere che «non sente alcun bisogno di un amante malinconico uscito dal Vecchio Mondo». Lui le dà un ceffone, lei gli morde una mano. Nel diario Remarque prende nota del «grande dolore» provocatogli da questo screzio e trascura ogni riferimento al fatto che il paese di entrambi, la Germania hitleriana, stia dando inizio alle danze di guerra.
Lo scrittore Lion Feuchtwanger (1884-1958) si è rifugiato in Francia, a Sanary-sur-Mer fin dal 1933. Nell’estate del 1939, la moglie Marta e l’amante principale Eva Herrmann («per una volta unanimi» nota Illies) insistono perché se ne vada al più presto e lasci l’Europa. Lui nicchia. Finché il 16 settembre annota sul diario: «Dormito malissimo, un disastro. Chiamato al posto di polizia. Con gli altri tedeschi rimasti. Devo partire domani per un campo di concentramento». Viene internato a Les Milles, a sud di Aix-en-Provence. Pochi giorni dopo verrà rimesso in libertà. Tornerà da Marta ed Eva per riprendere la vita di sempre. Con uno strano presentimento, però. Nel 1940, dopo l’invasione nazista della Francia, verrà internato nuovamente nel campo di Les Milles. Stavolta sarà più dura. Riuscirà a scappare travestito da donna. E ad emigrare in California dove resterà per il resto della vita.
Allo scoppio della guerra, il filosofo Heinrich Blücher, futuro marito di Hanna Arendt, aderente alla frazione antistalinista del Partito comunista tedesco, è, anche lui, in Francia. Blücher è in stretti rapporti con Walter Benjamin: discutono fino a notte fonda dei processi di Mosca. A fine estate del 1939 i francesi lo arrestano. In quanto «nemico straniero», viene portato allo stadio olimpico di Colombes. Ottenuta la libertà, tornerà a Parigi da dove fuggirà negli Stati Uniti (passando per Lisbona) assieme alla Arendt. Sarà l’ex marito della Arendt, Günther Anders (vero cognome: Stern), ad aiutarli a sopravvivere in America. Del suo Paese Blücher non vorrà più saperne. Mai più. Anni dopo (nel 1956) scriverà all’amico Karl Jaspers di non «sentirsi più tedesco», otterrà dalla Germania un risarcimento per essere stato costretto ad espatriare e quando morirà, per infarto, nel 1970 verrà sepolto, per sua esplicita disposizione, negli Stati Uniti.
In Francia c’è anche, come s’è detto, Walter Benjamin. Benjamin nell’estate del 1939 finisce, come tutti gli emigranti tedeschi, allo stadio di Colombes e a Sanary-sur-Mer. Tutti quelli che lo vedono o gli parlano in quei momenti, nota Illies, sono «turbati dalla sua calma». Una serenità, riferiscono, «che mette i brividi». Benjamin fantastica sul passato e scrive lettere meravigliose a Hélène Léger, una prostituta parigina che gli ha rapito il cuore. Tornato a Parigi lavora al suo ultimo saggio, Sul concetto di storia (verrà pubblicato in Italia da Einaudi). «C’è un quadro di Paul Klee che si intitola Angelus Novus», scrive Benjamin. «Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo», prosegue, «ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi». Benjamin è uno dei pochissimi che intuiscono davvero quel che sta accadendo. Nei suoi ultimi scritti c’è, secondo Illies, «tutta la tragedia degli anni Trenta». Quando il 14 giugno del 1940 i tedeschi arriveranno a Parigi, il quarantottenne Benjamin, sollecitato dall’amico Theodor W. Adorno che è già in America, proverà a fuggire per imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti. Ma giunto il 25 settembre a Portbou in Catalogna, gli viene ritirata la licenza di transito. Immagina di essere rispedito nella Francia occupata dai nazisti. Quella notte stessa si suicida con una fiala di morfina. Nel pomeriggio del giorno successivo ai suoi compagni viene concesso il visto per l’America. Una sua amica, Henny Gurland (futura moglie di Erich Fromm), provvede alla sua tumulazione nel piccolo cimitero di Portbou. Ma ha pochissimi soldi, paga solo per cinque anni. Trascorsi i quali, il corpo di Benjamin verrà gettato in una fossa comune.
Anche Henry Miller è in Francia. Il 13 luglio del 1939, Miller trascorre la sua ultima notte con Anaïs Nin, in un alberghetto di Aix-en-Provence. L’indomani si imbarcherà per Marsiglia da dove, passando per la Grecia, rientrerà negli Stati Uniti. In nave legge Nostradamus ed elabora oroscopi: il proprio e quello di Hitler. Quando si accorge che, secondo i calcoli, il Führer vivrà molto più a lungo di lui, decide di lasciar perdere per sempre l’astrologia. Ma, nota Illies, sopravviverà a Hitler (più anziano di lui) di ben trentacinque anni.
Venuto a sapere che il suo amico Ernst Toller, fuggito dalla Germania, si era impiccato in una stanza d’hotel newyorkese, il cantore della finis Austriae Joseph Roth, in esilio a Parigi, ha un crollo emotivo. La notizia gli provocherà un infarto al «Café Tournon», il successivo ricovero in un ospizio per poveri, una polmonite malamente diagnosticata e la morte. Non ha ancora compiuto 45 anni. In margine a ciò, Stefan Zweig scrive a Romain Rolland: «Non camperemo a lungo, noialtri esuli». Zweig si suiciderà, assieme alla moglie, in Brasile nel 1942
Lo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline riceve da Vienna una lettera da Cillie Pam, sua ex amante ebrea. Cillie lo informa che suo marito è stato assassinato a Dachau. Céline le risponde frettolosamente dicendosi addolorato per la notizia. Si dilunga un po’ più per raccontarle di essere stato rinviato a giudizio in un processo per antisemitismo. Aggiunge che questo imminente processo è la prova che «anche gli ebrei sono capaci di perseguitare».
Tra gli intellettuali rimasti in Germania, Ernst Jünger è in ansia per un ritratto, a torso nudo, che gli ha fatto Rudi Schlichter, esposto dal pittore nel suo atelier. Gli è giunta notizia di molti suoi amici finiti in prigione per «atti omosessuali». Prende allora la decisione di scrivere a Schlichter: «In un Paese come questo non si può più vedere un ritratto come il suo… le sarei grato se volesse farmi indossare un cappottino».
Il filologo Victor Klemperer aveva già scritto, nel 1937, sul proprio quaderno privato di aver raggiunto «l’apice dello sconforto e dell’insopportabile». Prova ad emigrare – in America, quantomeno in Palestina – ma non riesce. Gli tocca portare la stella di David per le strade di Dresda. Ma ancora alla viglia della guerra annota sobriamente: «Sarebbe prematuro illudermi di essere già precipitato nell’ultimo girone dell’inferno».
Qualcuno è stato più fortunato. Il figlio di Thomas Mann, Klaus (scrittore come il padre, con il quale ha un rapporto difficile), è già approdato negli Stati Uniti da qualche anno. Nell’estate del 1939 trascorre il tempo in compagnia di Aldous Huxley e Ludwig Marcuse. Molte ore anche con Christopher Isherwood l’autore di Addio a Berlino (Adelphi). E poi ancora con Billy Wilder, Fritz Lang. Parlano ossessivamente della nostalgia per la Germania d’inizio anni Trenta. La sera del 21 agosto Klaus Mann scrive sul diario: «La fine agghiacciante che stanno facendo tutti quanti… Presagio della mia stessa morte… Possa trovarmi prima che io veda andarsene tutte le persone che ho conosciuto e amato». Si suiciderà con un’overdose di barbiturici. Ma dieci anni dopo, nel maggio del 1949.
Il più inconsapevole di tutti è Jean-Paul Sartre. Per l’intero corso degli anni Trenta, lui e Simone de Beauvoir (che fungono da filo conduttore del libro di Illies) «sembrano totalmente ignari delle brutalità naziste e degli esuli tedeschi che vagano sperduti per Parigi». Come nell’autunno del 1933, quando riferiscono di essersi «beatamente rimpinzati di cheesecake» al Café Kranzler di Berlino «senza neppure accennare alle colonne di SA che marciavano per le strade o alle svastiche al vento». O ancora nel 1938 quando, scrive Illies, «non sembrano vedere oltre il perimetro della loro complicata struttura amorosa». Il 31 agosto del 1939, Sartre e Jacques-Laurent Bost, (amante di Simone de Beauvoir) vengono precettati per il servizio militare. Solo Simone sembra comprendere che sta per accadere qualcosa di terribile. Accompagna Sartre alla stazione e lui vuole solo raccontarle di come sia riuscito a sedurre Wanda, sorella di Olga, la fidanzata di Bost. E di come si accinga a concupire Olga stessa. La de Beauvoir è affranta all’idea di perdere i suoi due uomini. Sartre annota sul suo quaderno: «Tutti esigono che l’altro li ami, senza capire che amare significa voler essere amati… Di qui la costante insicurezza degli amanti». Nessun cenno a Hitler che quel giorno stesso muove in direzione di Varsavia.