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 2022  febbraio 15 Martedì calendario

Il punto sull’analfabetismo a cinque anni dalla morte di Tullio De Mauro

Cinque anni fa, era il 5 gennaio del 2017, ci lasciava all’età di 85 anni Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti e accademici italiani. Pochi i ricordi, meno che mai le intitolazioni di aule o vie. Figuriamoci, in un Paese in cui terrapiattisti, no-vax e negazionisti sono proporzionalmente in crescita con i femminicidi e i raid di babygang, c’era da aspettarselo.
C’è di tutto e di più in questo tempo di pandemia, dove le conseguenze della clausura e del distanziamento fisico (e purtroppo, a forza di dirlo, anche sociale) stanno producendo, soprattutto tra i più giovani, effetti devastanti. Più che un allarme, ormai è uno tsunami quello che si va espandendo a macchia d’olio e che denuncia una deriva preoccupante.
Nel suo lungo corso di studioso, De Mauro aveva classificato in due specie questo tipo di ignoranza: strutturale e funzionale, la prima relativa alla totale incapacità di decifrare un testo scritto; la seconda di passare dalla lettura alla comprensione. Nei suoi due libri fondamentali, ’Storia linguistica dell’Italia unita’ (Laterza, 1963) e ’Storia linguistica dell’Italia repubblicana’ (Laterza, 2014), Tullio De Mauro si era preoccupato di indagare le origini e le ragioni del fenomeno, ma soprattutto di denunciare il peso sociale che l’aumento dell’analfabetismo giovanile avrebbe comportato per una nazione sviluppata come la nostra, ottava o nona tra le potenze industriali del mondo.
Intervistati, i nostri giovani (ma non siamo soli al mondo), spesso non sanno collocare nel giusto spazio temporale date, fatti e personaggi della storia, hanno difficoltà a leggere, figuriamoci a scrivere. Un’indagine comparativa dell’Ocse effettuata nel 2014 su un campione di trenta Paesi al mondo, chiamata Piaac ( Programme for International Assessment of Adult Competencies), ripetuta nel 2019, definiva i cinque livelli di alfabetizzazione in literacy e numeracy delle popolazioni in età di lavoro (16-65 anni), dal primo livello di analfabetismo strumentale, a un secondo livello
minimo, ma comunque insufficiente, fino ai successivi tre gradi di comprensione e scrittura dei testi, calcoli e grafici compresi. Ai primi posti risultava l’Italia con un 28%, seconda solo alla Turchia e Cile, ed è probabile che, quando verranno conteggiati con la pandemia in atto, saranno destinati sicuramente a fotografare una situazione peggiorata. «L’analfabetismo – affermava Tullio De Mauro – è oggettivamente un instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni. Il grave analfabetismo strumentale funzionale incide negativamente sulle capacità produttive del Paese ed è responsabile del grave ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni Novanta». Che dall’anno di scomparsa del grande sociolinguista a oggi i dati non siano migliorati ce lo dice l’Istat nel 2020 con i numeri: i laureati di I e II livello rappresentano solo il 13,9% della popolazione, mentre il 35,6% ha un diploma di scuola secondaria; il 29,5% la licenza di scuola media e il 16,0% la licenza di scuola elementare. Lo 0,4% sono coloro che possiedono il più alto livello di istruzione riconosciuto a livello internazionale. La restante quota di popolazione si distribuisce tra analfabeti e alfabeti senza titolo di studio. Interessante anche il raffronto tra scuola e lavoro: il 35,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni abbandona precocemente gli studi, mentre i laureati occupati sono il 10% in meno della media europea e solo il 24,6% è impiegato nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche (poche le donne).
La popolazione che tra i 25 e i 64 anni possiede un titolo di studio è pari al 62,2%, un valore decisamente inferiore a quello medio Ue (78,7%) e molto al di sotto dei più grandi Stati dell’Unione che tocca un buon 86,6%. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all’Italia.
Questo, in sintesi, è stato il campanello d’allarme che De Mauro ha suonato per anni, un suono che non ha trovato e ancora oggi non trova orecchie nel frastuono dei talk-show e del dibattito politico corrente.