La Stampa, 15 febbraio 2022
Non si trovano lavoratori
Un Paese di medici, ingegneri, informatici e tecnici specializzati. Un Paese che non c’è: quello di cui avrebbero bisogno le aziende per affrontare la ripresa che dovrebbe seguire alla pandemia. Una situazione generale nella penisola che nel Nord Ovest assume caratteristiche particolari: proprio nel mezzo della transizione l’area sembra perdere competitività, rispetto al resto del Nord, sulla qualità della sua forza lavoro. In questa parte d’Italia, ad esempio, la difficoltà maggiore è trovare tecnici informatici e persone che conoscano le lingue. Scarsa conoscenza dell’inglese? Anche ma è un problema che riguarda soprattutto le generazioni meno giovani. La vera sfida, spiegano gli imprenditori, è quella di imparare il cinese.È nelle prossime settimane che le famiglie dovranno scegliere quale scuola seguiranno i figli dopo le medie. Una scelta importante perché è la prima che in qualche modo orienterà la loro vita professionale. Di quale professionalità avranno bisogno le aziende quando i ragazzi usciranno dalla scuola? Difficile dirlo perché probabilmente alcuni mestieri di cui ci sarà carenza all’inizio del prossimo decennio oggi non esistono ancora.La trasformazione del sistema produttivo è continua e, in questi anni, particolarmente impetuosa. L’indagine di Unioncamere riportata nel sistema Excelsior dice che nel dicembre scorso 82 imprese su cento segnalavano la carenza di «farmacisti, biologi e altri specialisti nelle scienze della vita». Effetto del virus? Probabilmente. Anche se la ricerca di personale specializzato in queste professioni proseguirà dopo l’auspicabile sconfitta della malattia. Più legata invece alla situazione contingente è la mancanza di “personale generico nelle costruzioni”.Che nel dicembre del 2021 le aziende segnalassero questa difficoltà è un fatto legato certamente al superbonus per i lavori edilizi. Tra dieci anni è difficile immaginare una situazione analoga. È invece probabile che proseguirà nel tempo la richiesta di «specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche». Il piano di digitalizzazione delle imprese, che dovrebbe essere sostenuto dai fondi del Pnrr, non sarà certo di breve durata. Oggi il 66% delle aziende segnala difficoltà a trovare figure di questo tipo. A differenza di quanto accade in altre aree d’Italia, la struttura economica del Nordovest è ancora moto legata alla manifattura. Nel dicembre scorso il 39% delle nuove assunzioni in Piemonte erano legate alla produzione di beni e servizi. E il 15% dei nuovi ingressi in organico era nelle aree tecniche e della progettazione.Una fotografia più dettagliata dei mestieri che mancano, meglio delle professionalità che le aziende non trovano sul mercato, è quella scattata da Fondimpresa, il fondo a gestione paritetica tra aziende e sindacati che destina lo 0,75% delle buste paga dei lavoratori alle attività di formazione dei dipendenti. «Le nostre imprese hanno bisogno di persone che conoscano l’informatica e che siano in grado di comunicare con il mondo», sintetizza Isabella Antonetto, presidente dell’organismo bilaterale piemontese del fondo, designata dalla componente industriale. Anche perché, aggiunge Eric Poli, suo vice, indicato dai sindacati, «nel corso degli anni la manodopera dell’area del nord-ovest ha perso competitività rispetto a quella di Lombardia ed Emilia, per molto tempo nostri naturali concorrenti. Oggi l’area piemontese è considerata a livello di Lazio e Toscana».Un gap, quello con Lombardia ed Emilia, da recuperare al più presto per evitare che si traduca in minore attrattività del territorio. Per decidere dove investire le aziende tengono conto della qualità del lavoro che hanno a disposizione in un’area. Il ragionamento è riferito a una media: nel Nordovest non mancano le eccellenza a livello internazionale. E le differenze tra generazioni sono molto forti. Il caso più evidente, la conoscenza delle lingue: «Abbiamo bisogno di insegnare l’inglese ai lavoratori di mezza età che non hanno avuto un insegnamento scolastico adeguato. E dobbiamo insegnare il cinese ai ragazzi che arrivano oggi dalle scuole, dove invece l’inglese si insegna generalmente bene e per loro non è un problema», spiega Antonetto. Infatti buona parte dei 3 miliardi e mezzo che il fondo ha erogato nel 2021 in Piemonte per l’aggiornamento sulle lingue è proprio in corsi di cinese. Ma è una lingua difficilissima per noi. «Non si pretende che i dipendenti imparino a parlare correntemente il mandarino – aggiunge Antonetto – ma che si riesca a capire il linguaggio commerciale e a leggere una lettera o una mail».In generale, osserva Poli, «il nordovest si porta dietro l’eredità della manifattura tradizionale. La forza lavoro meno giovane si è formata quando la digitalizzazione non esisteva e l’apprendimento delle lingue non era essenziale per lavorare in fabbrica. Oggi non è più così». Non deve stupire dunque se quasi 5 miliardi del fondo per la formazione in Piemonte vanno in corsi di informatica. Il passaggio dal meccanico al digitale riguarda le macchine e gli uomini che le fanno funzionare. Per questa ragione, spiega Antonetto, «nel 2020 e nel 2021, anche quando l’attività produttiva vera e propria era ridotta dalla pandemia, i corsi di aggiornamento sono rimasti in piedi, in molti casi anzi sono aumentati. Le imprese hanno approfittato della pausa per recuperare sul terreno della formazione».Quali scuole consigliare dunque ai ragazzi che devono scegliere l’indirizzo da seguire? Non potranno diventare tutti medici o ingegneri. E forse al sistema non servirebbe. Mancano invece alle aziende del nord ovest tecnici specializzati, in grado di adattarsi al cambiamento tecnologico. «Le strade possibili sono due: l’apprendistato nelle imprese e i corsi di istruzione tecnica superiore dopo il diploma», spiega Poli. Due possibilità per integrare la formazione scolastica e il lavoro. Un incontro che sembra diventato sempre più inevitabile. —