la Repubblica, 15 febbraio 2022
Sul conflitto tra Cina e Taiwan
Tra i pochi che invece di gridare “al lupo” ritengono che Pechino, nell’immediato, non attaccherà Taiwan, figura Henry Kissinger. E siccome non è che in Occidente siano in molti a conoscere la Cina come lui, sono andato a rileggermi il suo libro più bello per capire cosa c’è dietro. On China è un vero cult per chiunque ami le relazioni internazionali. Trasuda sapienza, reminiscenza, storia del mondo, e soprattutto, in ogni parola, si riconosce l’artefice di una stagione diplomatica irripetibile, quella dell’apertura alla Cina di Mao. Fu infatti la sua missione segreta a Pechino nel luglio 1971 (nome in codice Polo I) a sbloccare il negoziato. Spianando la strada a una nuova fase della politica americana nei confronti della Cina, il cui baricentro sarebbe stato Pechino e non più Taipei. Il problema è che la formula On China non basta più a garantire stabilità dalle parti di Taiwan, soprattutto per colpa di Xi: che non ha altre scelte se non insistere sulla riunificazione, ma sa bene che ottenerla manu militari non sarebbe per nulla conforme alla tradizione cinese. Kissinger spiega questo concetto in una pagina fulminante, dove mette a confronto il gioco degli scacchi e quello del wei qi. Il primo si identifica con il canone occidentale, secondo cui le guerre si combattono per annientare il nemico. Il secondo è figlio della tradizione taoista, per cui le guerre non servono a eliminare l’avversario, ma a circondarlo. A scacchi insomma si vince mangiando pezzi nemici e insediando il re; nel wei qi occupando spazi fino a impedire al nemico di muoversi. Si può quindi supporre che Kissinger non gridi “al lupo” perché sa che Xi è un giocatore di wei qi, non di scacchi, che per ora prosegue l’opera di accerchiamento. Non solo attraverso il build up militare, dove peraltro non c’è partita vista la conta di uomini, aerei, navi e missili da una parte e dall’altra, ma soprattutto con iniziative politico-diplomatiche, commerciali, industriali, tecnologiche e ovviamente di propaganda e comunicazione strategica... La Cina di Xi continua quindi a stringere la sua morsa intorno a Taiwan, per ridurne la libertà di manovra e fiaccarne la resistenza; mentre a Taipei non resta che divincolarsi come può, cercando spazi oltre confine: investendo su accordi e alleanze internazionali, sperando che alle brutte qualcuno intervenga al suo fianco. Tutto questo per dire che il conflitto tra le due Cine è già in atto, da tanti anni, solo che finora è stato combattuto senza combattere, perché l’Impero Celeste, con i nemici, sa essere sofisticato oltre che implacabile. Il fatto è che Clausewitz, al di là della Grande Muraglia, non lo ha mai letto nessuno, perché laggiù separare la sfera militare da quella politica non ha senso, come non ha senso parlare di vittoria totale. In Cina, da duemilacinquecento anni, viene letto Sun Tzu, lo stratega che scrisse L’arte della guerra. Per il quale «la Via del Cielo è di non lottare, e nondimeno saper vincere», concetto squisitamente confuciano e taoista che con la distruzione materiale e morale del nemico non c’entra niente. Quello di Sun Tzu, più che un trattato militare, è un manuale di antropologia. Dove l’umano prevale sempre, su tutto, dal momento che gli uomini devono prepararsi alla battaglia da uomini, ovvero usando l’intelligenza. Il resto, la guerra guerreggiata, può tranquillamente aspettare, dato che il nemico si conquista prima dello scontro campale, «generando energia», «simulando», «manovrando indirettamente» e «assimilando l’artificio della deviazione». Anche in guerra, come nella vita di tutti i giorni, si tratta quindi di assecondare la Natura e i suoi elementi, sostiene Sun Tzu. Tenendo presente che mentre l’uso delle armi può rompere l’equilibrio del Cielo e della Terra, innescando una serie di reazioni a catena incontrollabili e pericolose, lo star fermi in attesa degli eventi, che è una delle virtù strategiche secondo la teoria del Comando e della Dottrina, pone rischi di gran lunga minori. Se proprio occorre muoversi, continua dunque Sun Tzu, bisogna essere imperscrutabili. «Quando siamo in grado di attaccare, dobbiamo sembrare non esserlo, quando muoviamo le nostre truppe, dobbiamo sembrare inattivi, quando siamo vicini, dobbiamo fare in modo di sembrare lontani» scrive. Per passare subito dopo alla «Divina Manipolazione delle Trame», cioè lo spionaggio, il terreno su cui oggi Pechino e Taipei giocano la partita più spietata, secondo uno schema che ne L’arte della guerra veniva riassunto così: «Esistono cinque tipi di spie: native, infiltrate interne, doppiogiochiste, votate alla morte, destinate a vivere». Quando sono impiegate simultaneamente, «nessuno può scoprire il sistema segreto», che è «la più preziosa facoltà del sovrano». Inutile dire come a Taiwan il presente venga vissuto con preoccupazione crescente. Qualche tempo fa, per la prima volta, un ministro ha persino preso atto pubblicamente della necessità di prepararsi a un attacco nel 2025, il che la dice lunga sulle paure che aleggiano sull’isola. In effetti Sun Tzu lo hanno letto anche lì, e sanno bene che Pechino (vedi Hong Kong) farà di tutto per «prendere il paese nemico intero e integro» perché «mandarlo in frantumi e distruggerlo non è così buono». Per questo la risposta dei taiwanesi in questi anni è stata di tipo identitario, in modo da risultare indigesti se proprio le cose dovessero precipitare... Il che spiega il loro interesse per il recupero delle tradizioni indo-pacifiche o dei primi coloni cinesi, e anche per le esperienze maturate durante l’occupazione giapponese. I taiwanesi, in altre parole, lavorano sulla lingua, la storia, i programmi scolastici, persino sul cibo, e soprattutto lavorano per rendersi in qualche modo indispensabili ai partner internazionali, ad esempio come fornitori di componenti per computer. Insomma, lo abbiamo già detto. Anzi lo ha già scritto Kissinger che conosce Confucio e Sun Tzu: non è “cinese” ragionare su una possibile escalation a Taiwan in termini puramente militari. Perché in Cina la guerra non è soltanto quella guerreggiata. Pechino e Taipei non stanno giocando a scacchi, stanno giocando il wei qi. Il che vuol dire che per ora non vedremo battaglie di aria, di terra o di mare decisive, ma solo un inesorabile intensificarsi della campagna di accerchiamento già in atto. Fino a quando, finiti gli spazi liberi e le mosse a disposizione, a Taiwan non resterà che rassegnarsi all’inevitabile, almeno così spera Xi. Perché come insegna Sun Tzu «la suprema eccellenza consiste nel piegare la resistenza del nemico senza combattere».