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 2022  febbraio 14 Lunedì calendario

Su "Il più crudele dei mesi. Storie di 188 vite" di Gigi Riva (Mondadori)

«Non si erano mai viste tante farfalle...» Come dimenticare l’atroce contrasto di due anni fa? «Il più crudele dei mesi», in quella Val Seriana investita dall’onda d’urto assassina, fu «un marzo sfavillante di luce, di sole già caldo, di giornate inutilmente allungate. Raro nella sua possente esplosione vitalista a queste latitudini. Il più crudele dei mesi era un ossimoro. Rinchiusi nelle loro case, i nembresi guardavano dalla finestra la stagione che fioriva come fossero pesci in un acquario... La natura occupava spazi prima preclusi a causa della coabitazione con gli umani. I prati, i boschi dello Zuccarello, delle Podone, del Misma offrivano una declinazione di verdi che si pensava nemmeno esistessero...». Battiti di farfalle, rintocchi di campane a morto. Finché non fu deciso di fermarle. «Per non aggiungere disperazione a una disperazione già satura».


A un certo punto il parroco don Matteo Cella , rientrato al paese da un breve viaggio, si rese conto che tutti i preti erano malati: «Don Gianluca in ospedale, don Antonio a letto con la febbre, don Sergio aveva contratto il virus, don Andrea molto probabilmente pure, don Robertino della frazione Lonno in quarantena come don Arturo della frazione di Gavarno». Tutti i preti e tutti, ma proprio tutti, i medici condotti. E buona parte dei dottori e degli infermieri del vicino ospedale di Alzano Lombardo, all’inizio della Val Seriana. A partire dal suo direttore sanitario Francesco Marzulli, un tarantino arrivato al Nord per amore che, appena seduto a tavola in famiglia per il pranzo domenicale il 23 febbraio, era stato chiamato al telefono da un collega: «Scusa, abbiamo due pazienti Covid». «Hanno avuto contatti con la Cina?» «No. Gliel’ho chiesto, uno mi ha risposto: “La Cina al so gnach indòe l’è”.» Ci pensò pochi minuti e decise: «Chiudete il pronto soccorso, anzi l’intero ospedale». Buttò un po’ di cose nella borsa, mangiò un panino e uscì: «Non so quando potrò tornare».


Alle cinque del pomeriggio l’ipermercato più vicino era già preso d’assalto e giravano i primi WhatsApp con immagini della folla traboccante e titoloni: «Esselunga di Nembro a quest’ora ragazzi è allarmeeeeee». Incasso di mezza giornata: ottocentomila euro. La mattina dopo nuovi WhatsApp: scaffali vuoti, qui un solo pacco di rigatoni Barilla, lì tre barattoli di pelati. «Era stato il moderno assalto ai forni, pur pacifico e senza violenze. Era l’accaparramento dei tempi di guerra, così famelico nei racconti dei nostri genitori e nonni», scrive il giornalista e scrittore Gigi Riva, già inviato del Giorno e de l’Espresso, nato e cresciuto a Nembro, nel paese simbolo preso a paradigma dell’apocalisse sanitaria di quelle settimane a cavallo di marzo, nel libro in uscita domani «Il più crudele dei mesi. Storie di 188 vite». Titolo che rimanda a versi di T.S. Eliot tratti dalla poesia «La sepoltura dei morti». Uno struggente racconto corale della tragedia che ha visto la cittadina bergamasca, tra la fine di febbraio e i primi di aprile di due anni fa perdere molti più abitanti che nella Iª guerra mondiale (126) e il doppio che nella seconda (98). Il bilancio più pesante, rispetto alla popolazione di 10.500 anime, di questi due anni di martirio.


Bilancio che rimanda alla peste manzoniana narrata nel 1681 ne Il memorando contagio seguito in Bergamo l’anno 1630 da certo Lorenzo Ghirardelli, cancelliere dell’Officio di Sanità della provincia allora veneziana, secondo il quale Nembro e Alzano avevano perso «quasi due terzi degl’habitanti» per il «castigo di Dio... il cui giusto furore mosso dalla pertinacia de’ peccati nostri, ci percuote con horrendo flagello».

Una storia collettiva ricostruita passo passo attraverso mille storie personali. La fatale euforia per Atalanta-Valencia, 19 febbraio, ottavo di finale della Champions, la partita più importante del millennio, quando i tifosi tutti si rovesciarono a San Siro (una mamma, Alice, certa di trovare appoggio, scrisse agli insegnanti: «Mattia sarà assente, inseguirà la storia con suo padre e quarantamila bergamaschi. Grazie e forza Dea») per abbracciarsi e baciarsi nel peggiore dei momenti... La cecità del dirigente regionale che all’appello disperato da Bergamo di «allestire ospedali riservati esclusivamente ai pazienti Covid» rispose «non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate»... La spasmodica ricerca iniziale di un’idea («tamponi ce ne sono pochissimi, altri sistemi non ne conosciamo») per scovare i positivi facendo loro annusare una cipolla e sapere se avvertivano l’odore...


E ancora l’impennata mostruosa di vittime fino alle foto e ai video coi camion militari che portavano le bare verso lontani inceneritori... Le spiritosaggini infami: «Clamorosa rivelazione della Nasa: su Marte c’era la vita. Prima che arrivasse un turista di Nembro». I messaggi del sindaco Claudio Cancelli, tutte le sere a tutti i cittadini su tutti i numeri fissi e tutti i cellulari, perché non si sentissero abbandonati. L’ultima telefonata, l’ultima, di un padre e una figlia nella lingua cara: «Delia, quando riet?» (Delia, quando vieni?) «Pode mia, edet di parec le in giro te?» (Non posso, vedi dei parenti lì in giro tu?) «No ghe nighu. Ma quando riet?» (No, non c’è nessuno, ma quando vieni?) «Amò du de.» (Ancora due giorni.) «Alura me te salude perché so dre che more, ma fa mal tot.» (Allora ti saluto perché sto morendo, mi fa male tutto).


L’angoscia intima dello stesso autore, inchiodato dal lockdown lontano da Nembro e dall’anziana mamma José reclusa, sola, nella casa da dove ogni giorno gli raccontava il cortile sotto la finestra: «È morta la mamma del Rudi. Nel cortile accanto è morto l’Angelì. E il Firlo è sempre in ospedale, non sappiamo nulla...»


Un mondo intero racchiuso in quelle 188 vite. Ciascuna delle quali aveva un suo spazio, un suo ruolo, un su rapporto d’affetto coi paesani. Alfredo Criserà, «detto “Jair” per la carnagione scura come il campione dell’Inter di Herrera» con la quale segnò un gol lampo due minuti dopo l’esordio. Silvio Adobati che era stato un gregario di Fausto Coppi e a fine carriera si era inventato il Dancing Europa dove un giorno, oh meraviglia!, portò a suonare i Camaleonti. E «ol Gioanel», Francesco Giovanelli, «un cristo di uomo possente, massiccio, un omaccione, sopracciglia nere folte», che regolava il traffico e vedeva tutto come se avesse «occhi anche nella nuca». «Scorro l’elenco dei sommersi del 12 marzo... Sono dodici! Due hanno lo stesso nome: Giuseppe Pezzotta. Uno del 1930, l’altro del 1939. L’omonimia mandò in tilt l’ufficio necrologi dell’Eco di Bergamo» che nel più crudele dei mesi, di annunci mortuari, arrivò a pubblicare tredici pagine.


Dormono, dormono sulla collina... «Il sabato fu il capolinea di Marino Novelli, 75 anni, vigile volontario. Piovesse, nevicasse, o tirasse vento, ogni mattina si metteva il giubbino d’ordinanza e raggiungeva le strisce pedonali di piazza Libertà per regolare il traffico e far attraversare la strada ai bambini della scuola primaria. Le tasche erano piene di caramelle da distribuire a chi gliele chiedeva, a novembre offriva caldarroste. Conosceva i nomi di tutti gli alunni...».