il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2022
Ricchi e poveri
Quasi sei milioni di persone in povertà assoluta. Quasi 11 milioni gli italiani a rischio povertà. Un occupato su 10 è povero e 1 su 4 ha un basso salario. Di contro la ricchezza delle famiglie italiane durante la pandemia è aumentata, più 100 miliardi nel solo 2020, ricchezza netta pari a 8,7 volte il reddito disponibile, più di paesi come Canada, Germania, Regno Unito e Usa,
Un paese ricco, ma con povertà diffusa dove lavorare non basta più per uscire dalla povertà. Al monito del presidente Mattarella in Parlamento (“è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche”) ha fatto seguito quello di Papa Francesco: “Il fisco deve favorire la redistribuzione delle ricchezze, tutelando la dignità dei poveri”. Applausi e parole di elogio dalla politica ma la recente riforma dell’Irpef racconta un’altra storia.
Al 10% delle famiglie più ricche vanno più del 20% delle risorse distribuite (1,6 miliardi), nulla invece per gli ultimi tra gli ultimi, i più fragili, quelli con reddito inferiore alla no-tax area (8.150 euro), tra questi lavoratori che hanno pagato in modo feroce la crisi: donne, giovani, part-time involontari, intermittenti. Per loro la nuova Irpef mantiene il sistema perverso per cui redditi superiori alla no tax area beneficiano interamente del trattamento integrativo (bonus 80 euro e seguenti, 1.200 euro all’anno) pagando cosi meno imposte rispetto a chi ha un reddito vicino ma inferiore alla no tax area. Nulla si è fatto per modificare la disparità di trattamento, a parità di reddito, delle diverse categorie di percettori: progressività sui redditi da lavoro, ma flat tax sui quelli da capitale. Disuguglianze nella tassazione di redditi da capitale e da lavoro che a loro volta contribuiscono ad aumentare la forbice tra i ricchi e i poveri. Se la volontà è quella di ridistribuire le ricchezze, serve invertire la rotta verso un fisco più progressivo redistribuendo il carico fiscale dal lavoro al capitale.
Si può fare allineando la tassazione di redditi da capitale con quella da lavoro, rendendola progressiva, rivedendo le imposte su successioni (meno di 1 miliardo di euro di gettito in Italia, 14 miliardi in Francia), aggiornando il catasto dove i valori reali sono fino a 4/5 volte superiori a quelli catastali nei centri storici. Osteggiate da parte della maggioranza, queste riforme non sono nelle corde del governo. Draghi spinge per approvare la riforma del catasto, sarebbe un primo passo. “Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita”. La letteratura economica recente dà ragione al capo dello Stato. Ora meno applausi e più riforme.