il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2022
Il calcio da brividi
“E ti vorrei amare ma sbaglio sempre… e mi vengono i brividi, brividi, brividi”. È ufficiale: la canzone con cui Mahmood e Blanco hanno vinto a Sanremo sta per diventare l’inno ufficiale del calcio italiano: dove tutti in modo imperterrito sbagliano sempre, una mossa dopo l’altra, e dove la situazione, al fixing di oggi, 14 febbraio 2022, è appunto, per dirla con un eufemismo, da brividi.
Ricapitolando. Inutile dire che speriamo tutti fortissimamente di no: ma è giusto ricordare che per la seconda volta consecutiva (mai successo nella storia) l’Italia rischia seriamente di non qualificarsi per il Mondiale di calcio: dopo Russia 2018 rischiamo di restare a casa anche da Qatar 2022. Dice: sarebbe una catastrofe, ma per fortuna il movimento è vivo, scoppia di salute. Macché. Il calcio italiano non è mai stato così malridotto come oggi: al punto che il presidente Figc Gravina è appena stato sfiduciato dai presidenti di serie A – la cui Lega Gravina vuole commissariare – con una lettera invitata al presidente del Coni Malagò mentre il presidente della Lega Dal Pino s’è appena dimesso in polemica con i presidenti stessi.
Dice: okay, forse c’è un po’ di maretta ma i conti almeno sono in ordine. Macché. I conti del calcio italiano sono da mani nei capelli: e se Dal Pino se n’è andato sbattendo la porta è perché sette club, guidati dalla Juve di Agnelli e dall’Inter di Marotta, nella primavera scorsa hanno mandato a picco il piano dei fondi di private equity che avrebbe ridato ossigeno ai bilanci dissestati portando nelle casse 1,7 miliardi.
Dice: manca però la controprova che il piano-fondi avrebbe funzionato. Macché. Non appena la Serie A si rimangia l’accordo, sugli stessi fondi piomba la Liga del presidente Tebas, bocciato tre anni fa dai nostri eroi, che sorretto da tutti i club tranne Real, Barça e Bilbao firma un accordo da 2,6 miliardi con cui le società spagnole sistemano stadi, potenziano i vivai e per ultimo si comprano buoni giocatori.
Dice: ma Juve e Inter sono state costrette al dietro front per una clausola che avrebbe impedito loro l’ingresso nella mitica, fantasmagorica Superlega. Macchè. Oltre ai soldi dei fondi non arrivano nemmeno quelli della Superlega, che muore subito nella culla: tanto che i presidenti di A pensano di fare causa ad Agnelli e Marotta, ideatori e poi sabotatori del tragicomico piano.
Dice: c’era però in ballo anche l’asta dei diritti tv con Agnelli, Marotta e De Laurentiis a premere per la chiusura immediata dell’accordo con Dazn: dopo una vita con Sky, finalmente la svolta. Macchè. I diritti finiscono sì a Dazn ma per meno soldi e una peggiore qualità di servizio.
Dice: però la svolta streaming infiamma l’Italia, gli abbonati si moltiplicano. Macché: tempo sei mesi e l’Agcom informa che l’audience del calcio in tv, a dispetto dei dati forniti da Dazn, si è dimezzata. Al punto che Tim, che concorre alla spesa di 840 milioni annui di Dazn con 340 milioni, caccia il suo ad Gubitosi e chiede a Dazn, visto il flop, uno sconto di 90 milioni per ognuno dei 3 anni dell’accordo.
Dice: sul fronte giudiziario, però, tutto tranquillo. Macchè: le inchieste sullo scandalo delle plusvalenze farlocche di molti club, a cominciare da Juventus e Inter, spuntano come funghi in svariate Procure del Belpaese.
Dice: vabbè, oggi i club di A provano a eleggere il loro nuovo presidente. Come no. Lunedì scorso i nomi discussi sono stati quelli di Alfano, Casini e Veltroni. E insomma, all together now, cantiamo tutti insieme: brividi!