La Stampa, 14 febbraio 2022
Biografia di Valérie Pécresse
Eric Zemmour, il candidato sovranista alle presidenziali francesi, aveva sfidato sabato Valérie Pécresse durante un comizio: «Lei non è di destra», aveva detto. Ieri toccava alla donna, candidata dei Repubblicani, la destra moderata e neogollista. Doveva rilanciare la sua stella in questa corsa elettorale, con il suo primo grande meeting, che si è tenuto a Parigi. Ebbene, lì è sembrato che Pécresse rispondesse all’invito di Zemmour, procedendo ormai sulla strada tracciata in questa campagna: a destra, sempre più a destra.
Rigida sul palco e stressata, ha dedicato una lunga parte del discorso all’immigrazione, con toni duri (non in linea con quelle che nel passato erano state le sue posizioni), facendo proprie certe espressioni dell’estrema destra francese. Ha detto che «non esiste fatalità per la grande sostituzione». Queste due parole, del pensatore Renaud Camus, si riferiscono alla paura che i popoli europei vengano sostituiti da altri, in particolare arabi-musulmani e africani. Perfino Marine Le Pen rigetta la «grande sostituzione», cavallo di battaglia di Zemmour. Ha poi promesso che, «se diventerò presidente, nessuna donna sarà sottomessa: Marianna non è una donna velata». In un Paese con una grossa comunità musulmana (perlopiù integrata), Marianna, la donna mitica, simbolo della Francia, non può portare il velo islamico.
Pécresse oscilla nei sondaggi tra il 15 e il 16% per il primo turno e, a quel livello, contende il secondo posto, dietro Emmanuel Macron, a Le Pen e Zemmour. I tre sono molto vicini: è una sfida per il ballottaggio, che si consuma tutta a destra. Pécresse ha aggiunto rispetto agli immigrati che ottengono la nazionalità di «volere francesi di cuore e non di carta», altra espressione tipica dell’estrema destra. E dire che a Le Monde nel 2004 affermava: «La Francia è una società mista ma non si vede come tale. E invece gli abitanti dei ghetti d’immigrati e dei quartieri ricchi finiranno per mescolarsi. Le nostre frontiere si apriranno a nuove forme d’immigrazione, in arrivo dall’Asia e dall’Europa dell’Est. Abbiamo paura dell’altro, dello straniero».
54 anni, Pécresse proviene da una famiglia borghese e cattolica ed è cresciuta a Versailles, città simbolo di quel mondo. Ha la fama di «perfettina» nel mondo maschilista del suo partito («noiosa» dice Nicolas Sarkozy al suo entourage…). È semplicemente una che ha studiato come una matta (fece la maturità a sedici anni, con due di anticipo, ed è laureata ad Hec, l’alta scuola di business, e all’Ena, quella della pubblica amministrazione, alle quali ha avuto accesso dopo aver superato un concorso dietro l’altro) ed è una lavoratrice indefessa (presidente della regione di Parigi dal 2015, ne ha risanato con efficienza i conti). Ma è pure una che, da ragazza, adorava i classici russi e se ne andò alcune estati a fare i campi con la gioventù comunista in Crimea per imparare la lingua. Più tardi ha appreso con passione il giapponese, che ha migliorato facendo la commessa a Tokyo. Ieri, la fine del discorso è stata più personale e lei finalmente si è sciolta. Ha ricordato il nonno (Louis Bertagna, psichiatra che fece riconoscere la depressione come malattia in Francia) attraverso il quale «ho imparato a guardare e rispettare le fragilità che ci sono in tutti noi». Ha ricordato «i due posti di lavoro che da giovane mi hanno negato, perché ero incinta» e le aggressioni sessuali subite. Ma anche il «pudore» che è parte di lei: non condividerà tutto con i suoi elettori. Ha ringraziato il marito Jérôme (ovviamente, manager di successo e superlaureato come lei: «27 anni di un amore folle», ha detto) e i tre figli. Commossa, è sembrata d’un tratto più umana. Forse era la vera Valérie.